Perché sul Recovery plan prenderemo palo pieno

Perché sul Recovery plan prenderemo palo pieno

di Roberto Danovaro
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Giovedì 28 Gennaio 2021, 10:25

Nessuno legge la le istruzioni per l’uso. Mobili, elettrodomestici tutto quello che compriamo ha delle istruzioni per l’uso, ma le persone non leggono la documentazione. Ovvero, non si siedono su una sedia comoda con una tazza di caffè e spendono minuti per leggere il manuale dall’inizio alla fine. Lo ha scoperto John Carroll in una recente ricerca. Il motivo? Le persone pensano di sapere già come si fa e, se glielo chiedi, ti diranno che sanno quello che fanno anche se in realtà non lo sanno. Infatti, spesso il mobile viene montato storto, l’elettrodomestico non parte o va in cortocircuito. Oltre alle istruzioni per l’uso, le persone non consultano libri di ricette (preferiscono vedere MasterChef), dizionari o altro. Ma la consultazione delle “istruzioni per l’uso” ha un grande impatto sulla nostra vita e sulla qualità del nostro lavoro. Ogni volta che non consultiamo le informazioni a disposizione rallentiamo il nostro lavoro o sbagliamo. È quello che sta succedendo anche ai Politici che stanno elaborando un Piano per il Recupero e la Resilienza. Nessuno consulta le linee guida europee. Pensano di sapere come spendere i soldi senza aver letto le istruzioni per l’uso. Molti dei nostri politici, di qualunque ordine, grado e appartenenza, non leggono. Sentono quello che dicono persone, catturano qualche pensiero. Non studiano, non approfondiscono, ma continuano a progettare e organizzare il nostro futuro. Se vogliamo non prendere “palo pieno” come si dice in gergo, dobbiamo leggere le istruzioni per l’uso dei circa 222 miliardi di fondi europei per il Recovery Plan. Gli stati membri devono sottoporre il piano all’Unione Europea entro il 30 aprile dopo aver inviato la bozza a fine ottobre. Le idee italiane messe in campo hanno già destato perplessità in Europa e così facendo saremo bocciati perché i piani di ripresa e resilienza devono contenere una riforma sostanziale del Paese per rilanciarlo in chiave ecologica. Non possono essere usati per sussidi o per abbassare le tasse come prospettato da qualche politico fantasioso. Ovviamente sono necessari e giusti i ristori e i blocchi ai licenziamenti già approvati, ma questi fondi europei dovranno essere investiti per affrontare adeguatamente le sfide del futuro. Dovranno essere “sostanziali, credibili e debitamente motivati e giustificati” dice la Comunità europea. Inoltre, la maggior parte dei finanziamenti dovrebbe andare alla “transizione ecologica”. Ovvero al passaggio da un sistema che inquina gli ecosistemi, avvelena l’aria e le acque, causa malattie a un progresso ecologicamente sostenibile.

Ma nella bozza del Piano non c’è praticamente nulla di tutto questo. I nostri politici devono capire meglio per cosa sono stati assegnati questi fondi nell’ambito dell’EU Green Deal. Gli errori di oggi potrebbero determinare il blocco dei finanziamenti e avere ripercussioni negative sulle prossime generazioni. L’Unione Europea ha chiamato questa operazione Next Generation EU proprio per pensare alle future generazioni a partire dai nostri ragazzi che ancora non votano ma che erediteranno la guida del Paese. Nelle linee guida, approvate anche dall’Italia, la Commissione, spiega come valuterà i piani di ripresa e di resilienza preparati dagli Stati membri. Spero che qualcuno, incluso i governi regionali e locali che stanno dando o daranno contributi di idee al Recovery Plan, legga queste linee guida, anche perché la stessa procedura si applicherà alla valutazione sia del contributo finanziario delle richieste di prestito. Non si tratta quindi di un mega-regalo di Babbo Natale EU per consolarci del Covid, ma un investimento per il nostro futuro. Fatto però a certe condizioni: ovvero che i fondi europei servano a «sostenere le transizioni verdi e digitali», contribuendo in tal modo alla creazione di posti di lavoro post Covid-19 per una crescita sostenibile. Se invece di investire pensiamo solo ai rimborsi o a furberie, avremo grossi guai perché non produrremo nuovi posti di lavoro ecologicamente sostenibili e, una volta finiti i soldi, saremo messi peggio di prima. Quello che manca oggi al Piano italiano è la “transizione verde”. Ovvero quegli interventi necessari per mitigare i cambiamenti climatici, prevenire rischi idrogeologici, sviluppare un uso sostenibile dell’acqua e delle risorse marine, manca la protezione dell’ambiente e la promozione del turismo eco-sostenibile, mancano interventi sulla recupero della biodiversità e degli ecosistemi distrutti, sulla bonifica dei siti contaminati, sull’agricoltura sostenibile non OGM, quella definita Farm-to-Fork, dalla “fattoria alla forchetta”. Serve una spinta più incisiva alla decarbonizzazione, alle energie rinnovabili, alla difesa del suolo, alle infrastrutture verdi. Serve una politica seria, dal Governo ai Comuni.

* Docente all’Università Politecnica delle Marche e presidente della Stazione zoologica-Istituto nazionale di biologia, ecologia e biotecnologie marine

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