La crescita dei consumi e la natura dimenticata

La crescita dei consumi e la natura dimenticata

di Roberto Danovaro
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Giovedì 8 Ottobre 2020, 10:50

Brutte notizie: l’indice globale del pianeta vivente continua a diminuire. I dati presentati nel Rapporto sul Pianeta Vivente (il Living Planet Report) del Wwf per il 2020 continuano a confermare che tra il 1970 e il 2016 si è verificata una diminuzione media del 68% delle popolazioni di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci. Il Living Planet Index, l’indice che misura la saluta della natura sul pianeta, indica un calo del 94% per le regioni tropicali delle Americhe. Si tratta del più forte tracollo mai osservato al mondo. Insomma, mentre i nostri telegiornali ci aggiornano sul calo del Pil dovuto alla pandemia, assistiamo silenti al crollo della Natura. La biodiversità rappresenta la misura della salute globale del Pianeta e la perdita di biodiversità rappresenta una cattiva notizia per tutti. Il 75% per cento della terra, a partire da mari e oceani, è già stata notevolmente modificata o inquinata. Abbiamo perso oltre l’85% delle zone umide. Come ci conferma il rapporto 2020, la stragrande maggioranza degli indicatori di salute del Pianeta è in netto calo. Negli ultimi 50 anni il nostro mondo è stato trasformato dalla globalizzazione del commercio, dall’aumento dei consumi associati anche alla crescita della popolazione umana e dalla continua urbanizzazione. Fino a 50 anni fa, l’impronta ecologica dell’umanità era inferiore al tasso di rigenerazione della Terra. In altri termini la terra poteva soddisfare le esigenze di tutti, ma la crescita dei consumi ha reso insostenibile lo sviluppo umano sul Pianeta, portando alla progressiva distruzione della natura. Non si tratta solo dell’estinzione dei grandi mammiferi ma che anche quella piante, insetti e di milioni di specie, spesso minuscole. Si calcola che esistano da 2 a 8 milioni di specie ancora da scoprire, nel che stiamo perdendo ogni anno almeno 100 specie, incluse quelle che non conosciamo. La perdita di biodiversità è un problema per tutti perché minaccia la sicurezza alimentare. Dove e come produciamo il cibo è uno dei più grandi problemi per la Natura e causa del degrado di molti ecosistemi. Dobbiamo trasformare la catena di produzione del cibo e i nostri sistemi economici. Le nostre economie reali dipendono quasi esclusivamente dalla natura, e solo proteggendo la Natura possiamo migliorare la nostra prosperità economica e sociale. Da alcuni anni, in diversi paesi del mondo e in Italia viene stimato il valore del “capitale naturale”, ovvero il valore delle risorse naturali, sia rinnovabili sia non rinnovabili, come piante, animali, habitat, suolo e minerali.

Il Rapporto del Wwf mostra come il capitale naturale a disposizione di ogni persona sia diminuito di quasi il 40% dall’inizio degli anni ‘90. Insomma, qualunque cosa ci racconti il Pil, la realtà ci dice che stiamo diventando sempre più poveri. Questi dati indicano che la conservazione della biodiversità deve essere un impegno etico per l’umanità, un impegno non negoziabile e non rimandabile. Servono investimenti strategici per preservare la nostra salute, la nostra ricchezza in capitale naturale e la nostra sicurezza. È possibile invertire questa tendenza? I dati della ricerca scientifica indicano che se intraprendessimo un’azione di conservazione urgente e a larga scala, e se apportassimo cambiamenti trasformativi nel modo in cui produciamo e consumiamo il cibo saremmo ancora in tempo. Il 2020 è stato annunciato come un “super anno” su cui la comunità internazionale poneva grandi aspettative sia per combattere i cambiamenti climatici, sia per contrastare la perdita di biodiversità. Era stata stilata una fitta agenda per avviare una inversione di tendenza. Purtroppo, la pandemia Covid-19 ha bloccato gran parte di queste attività rimandandole al 2021. Ma al contempo ci ha reso più consapevoli dello stretto legame tra natura ed esseri umani e ci offre una nuova e inaspettata opportunità che potrebbe rivoluzionare il modo in cui ci prendiamo cura del nostro Paese e della Natura. Il Recovery Plan dell’Italia è in fase di stesura, ma le prime idee non sembrano cogliere a pieno questa opportunità. Gli oltre 300 miliardi che riceverà il nostro Paese sono un credito straordinario per finanziare la transizione verso uno sviluppo sostenibile. Per avviare in modo serio il Green Deal Italiano. Con questi fondi, potremo fare quello che abbiamo sempre detto di voler fare e non abbiamo mai fatto per mancanza di risorse. Se perderemo anche questa occasione, il Bel Paese non avrà prospettive di sviluppo equo e sostenibile. Né avranno speranze le prossime generazioni.

*Docente all’Università Politecnica delle Marche e presidente della Stazione zoologica-Istituto nazionale di biologia, ecologia e biotecnologie marine

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