Orlatrice, mission impossible. Servono formazione e filiera

Orlatrice, mission impossible. Servono formazione e filiera

di Lolita Falconi
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Sabato 3 Giugno 2023, 07:23 - Ultimo aggiornamento: 14:59

C’è stato un tempo in cui, quasi in ogni famiglia, almeno una donna era orlatrice. Spesso a domicilio. Non c’era abitazione in cui non vedevi, in un angolo di una cameretta, talvolta anche in cucina, una macchina per cucire. Intere generazioni del distretto calzaturiero sono cresciute con una Singer in casa, con una mamma (o una nonna) che, tra una faccenda domestica e l’altra, “trapuntava”, ovvero orlava, decine e decine di tomaie di scarpe. Prima di pranzo, dopo pranzo, la sera dopo aver messo i bimbi a letto. Nel distretto calzaturiero Fermano-Maceratese molti sono cresciuti così, tra padri operai nelle fabbriche di calzature, addetti alle più varie mansioni, e madri orlatrici.

Chissà poi perché - brevissima digressione - l’orlatrice è sempre stato un termine usato al femminile, un mestiere delle donne, tanto che il termine “orlatore” dalle nostre parti non si è mai sentito. Ebbene, via via in pensione la generazione delle mamme, sta succedendo che in pochissime vogliono fare questo mestiere che nel frattempo è cambiato, si svolge non più prevalentemente a domicilio ma quasi esclusivamente in tomaifici con orari prestabiliti e tutte le tutele del caso. Così si è arrivati al punto che manca manodopera in questo settore tanto che nelle ultime settimane abbiamo raccontato sulle colonne del Corriere Adriatico come le aziende che operano nel settore calzaturiero addirittura se le contendano, le orlatrici. Le griffe le “rubano” agli artigiani. C’è chi aumenta loro lo stipendio, chi le cerca e le forma già tra i banchi della scuola professionale. Un vero problema anche perché i tomaifici hanno attraversato decenni di crisi, che hanno demotivato il personale e gli stessi artigiani titolari delle ditte.

Negli anni Ottanta il boom di scarpe orlate in Romania, negli anni Novanta le lavorazioni in Vietnam. Nel 2000 l’invasione di tomaifici cinesi, ora il fenomeno delle griffe arrivate nel territorio che si accaparrano a suon di offerte le migliori orlatrici. Tutto questo sta comportando, per chi vuole tenere aperta l’attività ed andare avanti, di dover accettare anche prezzi sul prodotto più bassi del costo di produzione.

Insomma un problema dietro l’altro che ha frenato (quasi annullato) il ricambio generazionale creando di fatto seri problemi alla filiera. In questo momento il mercato richiede che il prodotto venga fatto interamente in Italia e in particolare in quei territori dove si fanno le migliori scarpe del mondo. Tra questi c’è senza dubbio il Fermano-Maceratese. Per alcuni brand la soluzione oggi è quella di insediarsi in questo territorio e fare man bassa delle figure più professionali in questo settore, creando delle nuove difficoltà a chi fino ad oggi ha resistito.

Alcuni fanno formazione, alcuni si sono affidati alle scuole professionali, ma si sono resi conto che non è sufficiente per un mestiere del genere fare formazione di 6 o 12 mesi per ottenere un prodotto di qualità ma occorrono anni e anni. Quali le soluzioni dunque per non distruggere il tessuto di piccole e medie imprese che sono state sempre la forza del territorio e allo stesso tempo agevolare le griffe che stanno insediandosi in zona e portando lavoro anche di qualità? Dai discorsi di questi giorni, fatti dagli stessi artigiani e dalle associazioni di categoria, due sono le parole d’ordine, la doppia F: formazione e filiera. Puntare cioè sui fondi pubblici per iniziare a formare nuove generazioni di lavoratori, rendere attraente un mestiere considerato fino a qualche anno fa usurante e sottopagato. D

all’altra parte creare una filiera del prodotto, tenendo in considerazione il territorio e le sue piccole e medie imprese artigiane fatte da famiglie e collaboratori che per lo più sono vicini di casa. Fare una vera filiera dove si tenga in considerazione tutto il sacrificio che è stato fatto. Non cercare di sottrarre figure professionali e specializzate alle piccole imprese per portarle nelle grandi ma dare lavoro a quelle imprese premiandole per il lavoro che fanno.

* Caposervizio di Fermo e Macerata del Corriere Adriatico

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