Fake e intelligenza artificiale. Una nuova arma da guerra

Fake e intelligenza artificiale. Una nuova arma da guerra

di Giovanni Guidi Buffarini
3 Minuti di Lettura
Venerdì 21 Aprile 2023, 06:30

Avete ascoltato “la canzone che non esiste”? La definizione è di Matteo Persivale del Corriere della Sera. Non mi piace tanto: il pezzo esiste eccome, si intitola “Heart on my Sleeve”. Cambio paradosso. Avete già ascoltato “la canzone che nessuno ha scritto e i rapper Drake e The Weeknd hanno interpretato a loro insaputa”? Sciolgo l’enigma, casomai non ne foste ancora a conoscenza. “Heart on my Sleeve” è apparsa venerdì scorso, postata da tal @ghostface su YouTube, Spotify, non so se su altre piattaforme. Testo e musica sono stati scritti da una Intelligenza Artificiale in base agli input di @ghostface. La AI ha anche clonato le voci dei succitati artisti. Successo pazzesco, e la storia mi par degna di qualche riflessione. Punto primo. La Universal, colosso della discografia che ha sotto contratto The Weeknd, ha chiesto e ottenuto la rimozione del brano da tutte le piattaforme. Sorpresa (si fa per dire, eh?): prima di iniziare a scrivere questo articolo l’ho cercata ed è saltata fuori. Mano sul fuoco, la troverete in pochi secondi anche voi. È lo stesso che sta accadendo da un paio di settimane con ChatGPT, oscurata momentaneamente dal Garante della Privacy causa scarsa trasparenza nel trattamento dei dati personali e altre problematiche che non sto a elencare. Subito è nata PizzaGPT, sorella dell’originale basata su un algoritmo precedente, un po’ meno sofisticato. Il Garante ha bloccato anche Pizza? Sono nate altre GPT. Senza considerare il fatto che per sbloccare Gippittì quella vera, la migliore, basta utilizzare una VPN, una rete privata virtuale (estera): non costa molto ed è legale, si capisce. Insomma, quel che è online resta online. Lo butti fuori dalla porta, e qualcuno (nel caso della canzone, chiunque abbia salvato il file sul suo computer) può farlo rientrare dalla finestra. (Non sto parlando del dark web, sia chiaro. Non sono uno smanettone, non so andarci nel darkweb e certi postacci vanno evitati. Faccio ricerche normali). Regolamentare Internet è impresa fuori dalla portata dei singoli Stati. Punto secondo. L’intelligenza Artificiale non ha imparato oggi a scrivere musica. Ho miracolosamente ritrovato un articolo uscito su Rolling Stone nel giugno del 2020, l’avevo archiviato e dimenticato. L’autore, Francesco Oggiano, raccontava d’aver sottoposto ai suoi amici diverse canzoni scritte da varie AI, attribuendole ad altrettanti artisti esordienti. Alcune canzoni erano piaciute, altre meno. Ma nessuno degli amici aveva avuto il minimo sentore che fossero state composte da un algoritmo. L’articolo non fece rumore all’epoca, i pensieri di tutti essendo rivolti altrove. Il caso “Heart of my Sleeve”, viceversa, ha scatenato le reazioni degli apocalittici in servizio permanente effettivo, quelli per cui l’intelligenza Artificiale annienterà il genere umano: niente di meno. Quelli che: «Se l’Ai impara anche a fare arte, allora è finita». Parola di non esperto, anzi di allergico a tutte o quasi le canzoni di maggior successo: “Heart of a Sleeve” non mi sembra migliore né peggiore della maggior parte della roba che passano le radio. Non perché l’algoritmo che l’ha composta sia creativo, bensì perché di creatività nella musica che va per la maggiore ce n’è pochissima. E quanti film perfettamente standardizzati capita di vedere, e serie e quadri e installazioni, e quanti libri scritti con lo stampino incontriamo? Non mi fa paura Algoritmo, ma gli esseri umani che vivono come se fossero programmati da Algoritmo, e riciclano pensieri già masticati e parlano per frasi fatte e agiscono da perfetti conformisti. Punto terzo. C’è un aspetto delicato nella canzone della AI. Il fatto che i due rapper l’abbiano interpretata loro malgrado. È un falso dichiarato, quindi assai meno grave. E forse è una manifestazione della musica del futuro, come pensa il dj David Guetta che ha compiuto una operazione analoga durante un concerto. Resta un esempio di deepfake, al pari delle foto di Trump ammanettato circolate pochi giorni fa. E il deepfake sta già creando problemi e ne creerà di più. Può essere un’arma da guerra. Dovremo tenere gli occhi aperti per non esser vittime della tempesta di bufale in arrivo. Noi giornalisti in primis, e voi lettori.

* Opinionista e critico cinematografico

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