La guerra delle piattaforme e il passo indietro di Netflix

La guerra delle piattaforme e il passo indietro di Netflix

di Giovanni Guidi Buffarini
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Venerdì 22 Aprile 2022, 04:00

Ogni volta mi sia capitato di trattare il fenomeno streaming, ho affrontato la questione secondo l’ottica delle (amate) sale cinematografiche: duramente colpite dalla diffusione delle (non odiate) piattaforme. Quanto accaduto fra martedì e mercoledì invita a cambiare il punto di vista e interrogarsi sul futuro delle piattaforme medesime. La notizia che ha sconvolto il panorama è il calo degli abbonati a Netflix nel primo trimestre di quest’anno. La prima contrazione un una storia fino a ieri costellata di soli successi. L’azienda si aspettava un incremento di due milioni e mezzo di abbonati: ne ha persi duecentomila. La guerra in Ucraina ha pesato ma fino a un certo punto. Gli abbonati calano un po’ ovunque: negli Stati Uniti, in Canada, in Europa. Segno positivo soltanto in Oriente: India, Filippine, Giappone. La Borsa ha reagito malissimo, mercoledì il titolo ha perso il 35%, il calo negli ultimi sei mesi è del 60%. Il mercato ha reagito malissimo anche perché da qui a fine 2022 Netflix prevede di perdere altri due milioni di utenti. L’amministratore delegato Reed Hastings ha annunciato le contromosse. La pubblicità non sarà più bandita dal network: chi tollererà qualche spot pagherà meno l’abbonamento. Un’altra misura riguarda la fruibilità dell’abbonamento medesimo. Oggi Netflix ha oltre 220 milioni di abbonati, ma grazie alla possibilità di condivisione viene vista da circa 320 milioni di persone. In 100 milioni guardano senza pagare: non sarà più possibile, non è sostenibile simile proporzione. Inoltre si sta studiando un nuovo algoritmo, più efficace nella profilazione dell’utente. La crisi di Netflix - crisi molto relativa, sia chiaro, stiamo pur sempre parlando del leader dello streaming, con fatturato in aumento del 10% e utili in calo del 6% e comunque pari a 1,6 miliardi di dollari, in crisi nera, strappandosi i capelli, ci sta piuttosto chi ha acquistato le azioni a 400, a 500, anche sopra i 600 dollari e se le ritrova a 226 (chiusura di mercoledì), ahia che botta - la crisi di Netflix, dicevo, è interessante in sé, per le fragilità che ha evidenziato in quella che sembrava una corazzata inarrestabile, ma più ancora per quel che racconta delle magnifiche sorti e progressive del settore streaming.

Progressive certo che sì, magari con qualche battuta d’arresto da mettere in conto. Collettivamente magnifiche, non più. Fino a pochi anni fa, Netflix era sinonimo di streaming, altro non c’era o quasi. Oggi i concorrenti forti si sono moltiplicati. Mentre, passata la sbornia, ci si sta accorgendo che il bacino dei potenziali utenti sarà pure vastissimo ma infinito no. Inoltre, con il virus in ritirata (ogni scongiuro è lecito affinché l’autunno non riservi sorpresa amara) le condizioni di mercato son mica più così favorevoli. Porto il mio caso. Durante i lockdown ero diventato un collezionista di piattaforme, sono arrivato ad avere cinque abbonamenti attivi (sei?). Dall’estate scorsa ho sforbiciato di brutto, e per ogni nuovo abbonamento sottoscritto uno ne disdico, voglio mica che il portafogli pianga, e del resto il tempo non è illimitato: perché acquistare servizi che utilizzerai pochissimo? Per contendersi i clienti, ciascuna delle piattaforme più importanti sta allargando il proprio campo di gioco. Se da principio offrivano film & serie & stop, ora propongono film e serie ed eventi sportivi e spettacoli fino a ieri destinati al piccolo schermo, e giochi. Strategia tanto aggressiva quanto costosa, e l’indebitamento è il gran problema dei giganti dello streaming. Consideriamo il cinema, e scusate se finisco sempre col tornare al cinema. Sarebbe così sbagliato - proprio per gli interessi di Netflix & Co, dico - essere meno aggressivi con il vecchio (e amatissimo) grande schermo? Porto un esempio. “Don’t Look Up”, uno dei film più attesi della stagione. Al botteghino mondiale ha incassato meno di un milione (fonte boxofficemojo.com). Perché Netflix lo ha fatto uscire in poche sale per un pugno di giorni, poi subito sulla piattaforma. Non sarebbe stata più conveniente una regolare distribuzione nei cinema, e online solo dopo qualche mese? Quanti si abbonano a Netflix per un solo film “in esclusiva” o foss’anche per dieci?

*Opinionista e critico cinematografico

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