Il mio articolo di mercoledì 30 giugno sullo spopolamento delle aree interne ha suscitato diverse reazioni, anche veementi. L’espressione che avevo utilizzato per sintetizzare la mia tesi, lo “spopolamento programmato”, non è stata felice ed ha urtato diverse sensibilità. Me ne scuso. L’intento non era certo quello di evocare trasferimenti forzati ma di ragionare sulle condizioni per attenuare e governare gli effetti dello spopolamento cui queste aree andranno incontro nei prossimi decenni. L’idea che si possa arrestare o addirittura invertire la tendenza allo spopolamento e all’invecchiamento della popolazione nell’area appenninica mi sembra del tutto irrealistica. Secondo le ultime stime Eurostat la popolazione italiana diminuirà nei prossimi trent’anni di poco meno di 5 milioni di individui (oltre il 7%). La stima comprende già l’ipotesi di flussi migratori positivi dall’esterno. Le stime dell’Onu, basate su un’ipotesi di minori flussi migratori, prevede una contrazione ancora più accentuata: oltre i 6 milioni di individui. In entrambi i casi la riduzione maggiore si avrà nella popolazione compresa fra i 15 e i 64 anni che diminuirebbe rispettivamente di 8,7 e 10,3 milioni. E’ probabile, stante le attuali tendenze, che le aree interne siano destinate a perdere popolazione più velocemente della media, in particolare nelle fasce d’età più giovani. Ciò comporterà un’accentuazione del circolo vizioso fra spopolamento, peggioramento dei servizi e delle opportunità e ulteriore spopolamento. L’attenuazione di questo fenomeno può prefigurarsi attraverso due strade, non necessariamente alternative. La prima è quella di incentivare forme di residenza temporanea: dal turismo vero e proprio alle seconde case. In sostanza, si attirano persone che trovano piacevole passare parte del proprio tempo nelle nostre aree interne spendendo reddito prodotto altrove. Per questo tipo di insediamenti la densità non è un problema. Al contrario. Nelle aree con questa vocazione i servizi pubblici possono essere ridotti all’essenziale e andrebbe privilegiata la salvaguardia dell’ambiente naturale; incentivando forme di turismo e di permanenza sostenibile ed evitando fenomeni di congestionamento da traffico del fine settimana.
*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coord. Fondazione Merloni