Quello che le imprese non possono ignorare

Quello che le imprese non possono ignorare

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 2 Settembre 2020, 04:05 - Ultimo aggiornamento: 3 Settembre, 19:09
Da qualche mese questo giornale ospita una rubrica sulle tecnologie digitali emergenti, curata dal collega Emanuele Frontoni. Si tratta di un’iniziativa quanto mai apprezzabile poiché la rivoluzione digitale, che siamo soliti indicare con l’etichetta di Industria 4.0, non riguarda solo la produzione e la distribuzione dei beni ma la vita di tutti noi, in tutti i suoi aspetti. Le imprese non possono ignorare questa rivoluzione poiché la pressione competitiva le porterebbe rapidamente fuori mercato. Discorso diverso vale per i cittadini e le amministrazioni pubbliche, meno pressati dalla competizione a modificare i propri comportamenti. Il nostro paese sta accumulando ritardi in diversi ambiti di questa rivoluzione. Un ritardo che fa emergere nuove disuguaglianze: fra persone più o meno pronte a sfruttare le nuove tecnologie e fra territori e istituzioni che mostrano minore o maggiore capacità di investimento per offrire nuovi servizi o gli stessi a costi più contenuti. Recuperare questi ritardi è fondamentale, sia per una questione di equità sociale, sia per i vantaggi in termini di efficienza e qualità della vita che ne possono derivare. Pensiamo alla riduzione dell’inquinamento delle città possibili con le tecnologie smart cities o alle possibilità della telemedicina per gli anziani o per chi risiede in aree periferiche. Affinché tutti siano messi nelle condizioni di sfruttare appieno i benefici della rivoluzione digitale occorrono tre condizioni. La prima è la consapevolezza, cioè la conoscenza delle nuove tecnologie e delle loro possibilità di applicazione. A questo scopo risponde egregiamente la rubrica prima citata del collega Frontoni. La seconda è quella della capacità di utilizzo delle nuove tecnologie. Qui le cose cominciano a complicarsi. E’ vero che molte di esse sono user friendly e richiedono poche conoscenze di base e un ridotto investimento in termini di apprendimento. Questa condizione non è però sempre verificata; in molti casi per essere utenti ‘intelligenti’ è richiesto un minimo di alfabetizzazione informatica e buone capacità di apprendimento. Questo aprirebbe una riflessione sulla adeguatezza del nostro sistema formativo a rispondere con efficacia alle nuove esigenze. E’ una sfida che riguarda non solo il sistema scolastico e universitario ma anche la formazione continua per gli adulti. Così come è importante offrire a chi studia la possibilità di confrontarsi quanto prima e con regolarità con il mondo del lavoro è altrettanto importante offrire occasioni di formazione permanente durante tutto il corso della vita, lavorativa e non. La terza condizione è relativa alla dotazione di apparati e infrastrutture. Le dotazioni individuali (smarphone, tablet, ecc.) sono generalmente diffuse ma andrebbe sicuramente fatto uno sforzo per consentirne l’utilizzo anche alle fasce di popolazione più svantaggiate. Il principale problema per il nostro paese non è tanto nelle dotazioni individuali quanto nell’infrastruttura di rete, in particolare la connessione a internet. Il confronto con gli altri paesi europei è poco lusinghiero poiché siamo agli ultimi posti per percentuale della popolazione con accesso alla banda larga. E anche le Marche non brillano in questo ambito. E’ vero che l’Italia e le Marche hanno il problema dell’elevata dispersione della popolazione sul territorio; proprio per questo occorrerebbe dedicare maggiori risorse a questo obiettivo. La diffusione delle nuove tecnologie, con tutti i vantaggi che possono derivarne in termini di maggiori servizi e minori costi, dipende dal contemporaneo verificarsi di tutte e tre le condizioni sopra richiamate. L’assenza di una delle tre rende le altre poco efficaci. La Commissione Europea ha elaborato un indice per misurare il grado di digitalizzazione dell’economia e della società che tiene conto di questi diversi aspetti. Nell’ultima rilevazione l’Italia figura al venticinquesimo posto, prima di Romania, Grecia e Bulgaria. C’è da augurarsi che parte consistente delle risorse del recovery fund sarà utilizzata non solo per strade, ponti e gallerie, ma anche per recuperare il divario digitale che è ancora rilevante per large fasce di popolazione del nostro paese.

*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coord. Fondazione Merloni
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