Quando la governance familiare limita la crescita delle imprese

Quando la governance familiare limita la crescita delle imprese

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 19 Febbraio 2020, 04:35
Sabato scorso questo giornale ha dato la notizia della nomina di Cristiano Venturini a nuovo amministratore delegato della iGuzzini Illuminazione. L’avvicendamento segue il cambio di proprietà della società che nel 2019 è stata acquisita dal gruppo svedese Fagerhult. Il gruppo Fagerhult, controllato dalla famiglia Latour, è quotato alla borsa di Stoccolma dal 1997. Fino a qualche anno fa il gruppo Fagerhult non era più grande del gruppo Guzzini; è cresciuto rapidamente attraverso una serie di acquisizioni in diversi paesi europei. Ciò è stato possibile anche per il modello di governance del gruppo che tende a valorizzare il management delle imprese acquisite, come nel caso di Cristiano Venturini che era fino al nuovo incarico cfo dell’azienda. La notizia offre lo spunto per tornare sulla questione della governance familiare che caratterizza gran parte delle imprese italiane; e che è fra le ragioni della difficoltà di crescita delle nostre imprese. E’ noto che il sistema economico italiano è dominato dalla presenza di piccole imprese. La prevalenza delle imprese di piccola dimensione non è dovuta al fatto che sono in numero eccessivo ma alla scarsa presenza di imprese di media e grande dimensione. Gli Stati Uniti sono a ragione considerati il paese delle grandi imprese: la più grande in termini di occupati, Walmart, ha 2,2 milioni di occupati. L’impresa numero 500 dell’ultima classifica redatta dalla rivista Fortune è la Levi Strauss (quella dei jeans) con 15.100 occupati. All’incirca il totale degli addetti al tessile abbigliamento della nostra regione, occupati però in oltre 1.000 imprese. Se il gigantismo delle imprese Usa è noto è meno noto che in Usa la propensione imprenditoriale, cioè la percentuale di persone che decide di avviare nuove imprese, è quasi quattro volte quella dell’Italia e il numero di piccole imprese sulla popolazione è maggiore che in Italia. In sintesi: è vero che siamo il paese delle piccole imprese; non perché ne abbiamo troppe ma perché abbiamo poche medie e grandi imprese. Sulle ragioni della carenza di grandi imprese nel nostro paese molto si è scritto. Qualcuno si appella alla storia e alla cultura per sottolineare che il nostro è il paese dell’artigianato, dei prodotti “belli e ben fatti”; in piccola serie se non addirittura unici. Le grandi dimensioni mal si adatterebbero alle nostre tradizioni e all’organizzazione delle nostre comunità, basate su piccole città piuttosto che su grandi agglomerati urbani. Altri fanno riferimento alla storia e alla cultura ma in senso negativo, sottolineando che il nostro è un paese a basso grado di fiducia e di rispetto delle regole e con un elevato individualismo. Incapace, per queste ragioni, di dar luogo a grandi organizzazioni. Altri mettono l’accento sul fatto che il sistema normativo è talmente farraginoso e imprevedibile da scoraggiare la crescita; rimanendo piccole le imprese riescono a districarsi meglio nella giungla normativa. A queste spiegazioni si può aggiungere quella della prevalenza nel nostro paese del modello di governance familiare. La proprietà familiare delle imprese non è una peculiarità italiana. Ciò che distingue il nostro paese è la diffusione di un modello che potremmo definire totalizzante: un modello nel quale i membri della famiglia proprietaria assumono ruoli rilevanti non solo, come è ovvio, negli organi che rappresentano la proprietà ma anche negli organi di amministrazione e nei ruoli di gestione. Questo modello, comprensibile nel caso delle piccole e piccolissime imprese, presenta aspetti problematici quando le imprese crescono. Limitando, ad esempio, la possibilità di valorizzare adeguatamente le migliori competenze manageriali. E mettendo a rischio la continuità aziendale nei momenti di passaggio generazionale. Le imprese che crescono dovrebbero modificare i modelli di governance attraverso una più chiara delimitazione dei ruoli fra famiglia proprietaria e management. Esempi virtuosi in Italia e in Europa non mancano, ma le nostre imprese fanno difficoltà ad abbandonare il vecchio modello. Per questa ragione abbiamo poche imprese che crescono mentre è elevato il rischio di venire acquisiti nei momenti di passaggio generazionale.

*Docente di Economia dell’Università Politecnica delle Marche
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