La società nell’era della conoscenza dimentica di investire nella scuola

La società nell’era della conoscenza dimentica di investire nella scuola

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 13 Luglio 2022, 10:58

Da tempo siamo entrati in quella che viene definita società della conoscenza. Una società nella quale la ricerca scientifica e l’applicazione dei suoi risultati hanno assunto una rilevanza economica e sociale straordinaria e pervasiva. Di cui a volte non ci rendiamo conto poiché la diamo per scontata. Ci sembra ovvio utilizzare le funzioni di localizzazione del nostro smartphone (e ci arrabbiamo se impiega qualche secondo in più a localizzarci su una mappa) senza riflettere sulla straordinaria quantità di conoscenza scientifica e tecnologica che ha consentito di mettere in orbita satelliti e che permette la loro connessione con dispositivi che possiamo tenere sul palmo di una mano. Per non parlare di ciò che ci è meno evidente ma non per questo è meno rilevante; come la rivoluzione tecnologica in atto nei sistemi di diagnosi e cura, o nei processi produttivi e logistici. E’ una rivoluzione dall’impatto economico e sociale rilevantissimo poiché non risparmia quasi nessun aspetto della nostra vita, dall’attività lavorativa a quella di svago. Nella società della conoscenza la risorsa economica fondamentale è costituita dalla qualità del capitale umano e, quindi, dall’istruzione. Certo sono rilevanti anche le infrastrutture fisiche, di cui molto si discute di questi mesi in relazione alle risorse del Pnrr. Ma le strutture fisiche non sono in grado di sprigionare le loro potenzialità in assenza di un altrettanto consistente investimento nel capitale umano. Risparmiare tempo negli spostamenti ha valore se vale il tempo delle persone, che dipende dalla loro produttività e quest’ultima dal livello di istruzione e formazione. Lo stesso vale per le informazioni o per le merci; i sistemi veloci e sofisticati di comunicazione e trasporto hanno senso se si hanno beni di valore da scambiare o vendere. E il valore dei beni, siano essi tangibili o intangibili, dipende sempre più dalla qualità del lavoro utilizzato per produrli. A tutti i livelli: da quello utilizzato per la loro ideazione e progettazione a quello necessario per la produzione e distribuzione. In un’economia e in una società che vanno in questa direzione ci si aspetterebbe che il principale tema di discussione e di investimento sia il sistema dell’istruzione.

A tutti i livelli: da quello elementare fino all’università; e in tutte le declinazioni: dai licei alle scuole professionali fino agli ambiti del life long learning. Al contrario, il dibattito pubblico sull’istruzione è generalmente distratto e rassegnato. Distratto poiché se ne discute a singhiozzo e rassegnato poiché si vive nella sensazione di un sistema inamovibile e irriformabile. Ciò è incomprensibile se si considera l’accumulata inadeguatezza del nostro sistema dell’istruzione alle sfide della società della conoscenza. Se ne è avuta l’ennesima riprova dalla pubblicazione dei risultati delle prove Invalsi effettuate dai candidati all’esame di maturità, cui questo giornale ha dedicato ampio spazio nell’edizione di lunedì scorso. Le Marche si posizionano relativamente bene nel contesto nazionale. Ma questo non può consolarci dal momento che i dati medi del nostro paese evidenziano una situazione che è stata definita di ‘disastro educativo’. Uno studente su due non raggiunge la sufficienza in matematica, in italiano e in inglese. Un dato medio disastroso cui corrisponde un’elevata variabilità, fra le aree del paese e fra gli istituti. Una situazione nella quale i livelli di preparazione dei ragazzi sono sempre più dipendenti dalle condizioni della famiglia di appartenenza. Con buona pace dell’art. 34 della nostra Costituzione. Non è un caso che l’Italia ha il più basso grado di istruzione della popolazione giovanile nella Ue (eccetto la Romania) e fra i tassi più elevati di disoccupazione e inattività fra i giovani. In questo contesto il sistema dell’istruzione dovrebbe essere il principale ambito di investimento e occupare tutti i giorni le prime pagine dei quotidiani. E’ invece probabile che non ne sentiremo più parlare fino alla riapertura delle scuole il prossimo autunno (per gli annosi problemi di formazione delle classi e copertura delle cattedre). E con il solito atteggiamento fra il distratto e il rassegnato. 

* Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coordinatore Fondazione Merloni

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