La dimensione che conta in tema di ricerca e sviluppo

La dimensione che conta in tema di ricerca e sviluppo

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 15 Dicembre 2021, 10:25

È di evidenza immediata e generale quanto lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie digitali stia cambiando la nostra vita quotidiana: dal modo con il quale lavoriamo all’interazione con le persone e con l’ambiente che ci circonda. Non c’è ambito della società o dell’economia che non sia investito dalla rivoluzione digitale. Ne sono influenzate anche le istituzioni pubbliche e il modo con il quale si struttura la partecipazione dei cittadini alla vita politica. Ancor più rilevanti, anche se meno visibili, sono i cambiamenti nei processi di produzione e distribuzione dei beni e dei servizi per i quali si parla esplicitamente di una nuova rivoluzione industriale. Utilizzare in modo efficace le tecnologie digitale sarà fondamentale poiché da ciò dipenderà non solo la competitività del sistema produttivo ma anche la possibilità di ridurre l’impatto ambientale delle nostre attività. Per questo il sostegno alla diffusione delle tecnologie digitali figura fra le priorità dell’Unione Europea che ha fissato specifici obiettivi da raggiungere per il prossimo decennio. Al fine di misurare il grado di digitalizzazione dell’economia e della società la Ue ha sviluppato un apposito indice, il Desi (Digital Economy and Society Index), che sintetizza una serie di indicatori relativi al grado di digitalizzazione delle imprese, della popolazione e del settore pubblico. Nell’ultima rilevazione l’Italia si posiziona al ventesimo posto (su 27) con valori al di sotto della media Ue in quasi tutti gli indicatori ed in particolare in quelli relativi alle competenze delle persone e alla connettività. La distanza dalla media Ue non è elevata ma questo non può consolarci. Sulla digitalizzazione è tutta l’Ue ad aver accumulato ritardi. Nel confronto internazionale la Ue è in coda ai principali paesi industrializzati. Anche considerando i primi paesi europei per grado di digitalizzazione non si sopravanza il livello degli Usa, che guidano la classifica. Il ritardo accumulato dall’Ue (e a maggior ragione dall’Italia) non riguarda solo l’adozione delle tecnologie ma anche il loro sviluppo. Su alcune tecnologie chiave, come l’intelligenza artificiale o la cybersecurity la competizione a livello internazionale è estremamente accesa e l’Ue si trova nella condizione di dover recuperare terreno rispetto ai principali competitor: Cina e USA.

Per questo l’Ue ha appena lanciato il programma Digital Europe che prevede di investire 7,6 miliardi di euro nel prossimo periodo di programmazione (2021-2027) con lo scopo di recuperare autonomia strategica nelle tecnologie digitali. La gran parte delle risorse andrà a tre ambiti specifici: i computer ultraveloci, l’intelligenza artificiale e la cybersecurity. Tuttavia, nel confronto internazionale si tratta di risorse molto limitate. Si stima che gli investimenti nella sola intelligenza artificiale siano attualmente di oltre 20 miliardi di dollari all’anno in Usa, circa 10 in Cina, intorno ai 2 miliardi nell’UE. Riuscire a fare massa critica in questi ambiti è fondamentale. Gli Usa, la Cina e le altre potenze industriali contano su grandi player nel settore. Alphabet (la società che controlla Google) ha dichiarato nel bilancio 2020 spese in ricerca e sviluppo per 27 miliardi di dollari; è una cifra maggiore della spesa in ricerca e sviluppo di tutte le imprese italiane messe insieme, digitali e non. Per il sistema produttivo e della ricerca italiano, molto frammentato e diversificato, è fondamentale fare massa critica attraverso l’aggregazione. Va letto in questo senso l’accordo che hanno recentemente stipulato i quattro principali atenei milanesi (Bocconi, Statale, Bicocca e Politecnico) per candidarsi congiuntamente a costituire un polo di eccellenza europeo nella ricerca e nella formazione sull’intelligenza artificiale. Nelle attività di ricerca e sviluppo la dimensione è fondamentale e l’unico modo per le imprese e le università italiane di rimanere competitive è nell’aggregazione. Difficile da realizzare in un paese che ha fatto della diversità e dell’individualità un suo punto di forza; assolutamente necessaria se non vogliamo essere tagliati fuori dalla competizione sulle tecnologie digitali nei prossimi decenni.

*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coordinatore Fondazione Merloni

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