Meno imprese nelle Marche: guai opporsi al cambiamento

Meno imprese nelle Marche: guai opporsi al cambiamento

di Donato Iacobucci
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Lunedì 8 Febbraio 2021, 13:32

La scorsa settimana la Fondazione Aristide Merloni ha pubblicato un’analisi delle iscrizioni e cessazioni d’impresa nel 2020. Le restrizioni alla mobilità e alle attività economiche hanno determinato un calo generalizzato nell’avvio di nuove imprese; rispetto al 2019 la riduzione è stata del -19%. L’entità della riduzione è dovuta all’eccezionalità dell’anno trascorso, ma si inserisce in una tendenza negativa che dura da oltre un decennio. E’ una tendenza che si osserva anche nella media nazionale ma che nelle Marche è più accentuata. Il dato relativo al 2020 non fa eccezione ed è stato più elevato di quello registrato a livello nazionale. L’analisi della dinamica in corso d’anno evidenzia che la variazione complessiva è quasi interamente dovuta ai mesi di lockdown (marzo, aprile, maggio) mentre nei mesi successivi il flusso di nuove imprese è tornato ai livelli osservati negli anni precedenti. Ciò che è mancato è il “recupero” delle iscrizioni perse nei mesi di lockdown. Anche le cessazioni d’impresa sono diminuite per cui alla fine il saldo fra iscrizioni e cessazioni, negativo per circa mille unità, è simile a quanto osservato nel 2019. Il dato sulle cessazioni evidenzia che la crisi da Covid-19 non si è tramutata, almeno nell’immediato, in un’accelerazione delle chiusure. E’ possibile che a determinare questo risultato abbiano contribuito le misure di sostegno alle imprese e l’aspettativa dei ristori sulle perdite. Per questo è probabile che l’impatto effettivo sulle cessazioni d’impresa sarà più evidente nei prossimi mesi. Molto dipenderà dalla rapidità del ritorno alla normalità e dall’efficacia degli interventi di sostegno ai settori più colpiti. Com’era da attendersi, i valori appena commentati presentano un’elevata variabilità settoriale. Più che in altre situazioni di crisi, quella che stiamo attraversando colpisce in modo molto selettivo imprese e attività economiche, punendo alcune e premiando altre. La rivoluzione digitale, che la pandemia ha contribuito ad accelerare, continua ad offrire straordinarie opportunità di innovazione e, quindi, ampi spazi anche per nuove iniziative imprenditoriali.

Il collega Emanuele Frontoni, nel suo intervento di venerdì scorso su questo giornale, segnalava la presenza al CES2021 di Los Angeles (uno delle più grandi fiere mondiali per la tecnologia di consumo) di una start-up marchigiana (EMOJ), spin-off dell’Università Politecnica delle Marche. Non si stratta di un caso isolato. Malgrado la generalizzata riduzione della propensione imprenditoriale le Marche mantengono una straordinaria vitalità nelle start-up innovative. Frutto anche dell’attivismo nella loro promozione da parte degli atenei regionali e del supporto degli altri attori dell’ecosistema imprenditoriale. Un ecosistema che sconta qualche ritardo e qualche debolezza rispetto alle aree più vivaci del nord Italia ma che nel complesso riesce a fornire un buon sostegno all’avvio e allo sviluppo di iniziative imprenditoriali innovative. Anche nell’ambito della natalità d’impresa la crisi sta accentuando la divaricazione fra chi, per competenze e capacità, è in grado di sfruttare le nuove opportunità e chi rischia di subirne le conseguenze. Vale per le nuove imprese come per quelle già operanti e vale soprattutto per il mercato del lavoro dove il rischio è quello di una crescita delle disuguaglianze, di opportunità e di reddito, fra chi ha competenze elevate nelle nuove tecnologie digitali e chi si presenta sul mercato del lavoro con capacità generiche. Il problema è particolarmente rilevante nel nostro paese che è fra quelli con i più bassi tassi di istruzione superiore in Ue e dispone di un sistema di life long learning (cioè di formazione permanente) inadeguato a recuperare il gap di competenze della popolazione adulta. Occorre, quindi, da una parte sostenere con decisione le iniziative più innovative, che consentono di accrescere produttività e reddito, e dall’altra investire nella formazione di coloro che rischiano di rimanere esclusi dalle nuove opportunità. La strada alternativa, spesso percorsa nel nostro paese, è di opporsi al cambiamento e compensare chi ne è svantaggiato. E’ una strada che non possiamo più permetterci.

*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coord. Fondazione Merloni

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