Le filiere ora si accorciano e la competenza è attrattiva

Le filiere ora si accorciano e la competenza è attrattiva

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 11 Gennaio 2023, 07:50

L’avvio del nuovo anno si presenta con segnali contrastanti per l’industria regionale. Il 2022 si è chiuso in rallentamento, dopo un primo semestre che aveva mantenuto un ritmo di crescita sostenuto. La guerra in Ucraina e le tensioni sui mercati dell’energia sono stati i principali fattori di instabilità a livello internazionale e hanno determinato un progressivo raffreddamento della fase ciclica. Malgrado l’andamento degli aggregati macroeconomici non si presenti favorevole il sistema industriale regionale sembra aver superato i momenti di maggiore criticità e appare nel complesso in grado di reggere la situazione di debolezza congiunturale. I segnali di vitalità sono numerosi e riguardano sia le imprese di maggiore dimensione sia l’ampio e variegato sistema delle piccole e piccolissime imprese. Alcuni di questi segnali possiamo leggerli nelle pagine di inizio anno di questo giornale. In un articolo di giovedì 3 gennaio Véronique Angeletti ha messo in evidenza la crescente rilevanza nella regione del fenomeno del reshoring, cioè del ritorno in ambito locale di produzioni che erano state precedentemente delocalizzate alla ricerca di minori costi di produzione. Le ragioni di questo fenomeno sono da ricercare non solo nelle maggiori difficoltà logistiche e nei maggiori costi di trasporto verso le destinazioni più lontane, ma anche nella crescente esigenza di qualità delle lavorazioni e nella riduzione dell’impatto ambientale favorito dall’accorciamento geografico delle filiere. Il primo aspetto, quello della qualità delle produzioni, è particolarmente rilevante poiché evidenzia la presenza nella regione di competenze specialistiche che rappresentano un potente fattore di attrattività del territorio. Non è un caso che negli ultimi anni diversi gruppi internazionali hanno effettuato investimenti consistenti nella regione sia per acquisire imprese già esistenti sia per creare nuova capacità produttiva. Come avevo messo in evidenza in un articolo dello scorso giugno a proposito della deglobalizzazione, l’industria marchigiana può avvantaggiarsi di queste tendenze all’accorciamento geografico delle filiere e al reshoring proprio per la presenza di competenze manifatturiere diffuse e di qualità.

Un secondo indizio positivo lo traggo dal Corriere di Domenica 8 gennaio nel quale Massimiliano Viti ha dato conto della nutrita partecipazione di imprese marchigiane a Pitti Uomo e alla Milano Fashion Week che rappresentano due fra i più importanti appuntamenti di livello internazionale per il settore della moda: abbigliamento e calzatura. Anche in questo caso l’elemento di competitività del sistema produttivo regionale è rappresentato soprattutto dalla qualità delle produzioni. A sua volta funzione delle competenze e della qualità del capitale umano presente nelle imprese. Ma è proprio con riferimento al tema delle competenze che emerge qualche ombra. Nel Corriere di sabato scorso Martina Marinangeli ha documentato una situazione paradossale: la domanda di lavoro c’è ma manca l’offerta di figure professionali qualificate, come ingegneri, geometri, digital manager e, soprattutto, operai specializzati. Situazione che ci riporta all’annosa e irrisolta questione del sistema scolastico e formativo italiano, in particolare il sistema della formazione professionale. Negli ultimi decenni abbiano tentato varie strade: dai diplomi universitari agli IFTS (istruzione e formazione tecnica superiore) fino agli ITS (Istituti tecnici superiori). Ma di fatto, come hanno testimoniato gli imprenditori intervistati, il sistema è ancora poco efficace, specie se confrontato con quanto avviene in altri paesi europei. Anche per una anacronistica divisione che è andata consolidandosi nel nostro paese fra formazione tecnica e formazione liceale: la prima considerata di serie B rispetto alla seconda. In realtà così non è se consideriamo la tradizione e la qualità degli istituti tecnici italiani. Soprattutto la formazione tecnica dovrebbe essere parte integrante di tutti i processi formativi, come avviene nella gran parte dei paesi avanzati. Occorrerebbe per questo non solo un maggiore impegno di investimento nell’istruzione ma anche una vera rivoluzione culturale.

* Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coordinatoreFondazione Merloni

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