C’è una disparità da superare tra le città e le aree periferiche

C’è una disparità da superare tra le città e le aree periferiche

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 30 Settembre 2020, 03:40
La distribuzione territoriale dei risultati delle recenti elezioni regionali è stata ampiamente commentata su questo giornale. Fra le ragioni che spiegano le differenze osservate ve n’è una che accomuna i risultati marchigiani a tendenze da tempo consolidate in Italia e in altri paesi. I partiti di centro-sinistra ottengono i migliori risultati nei principali agglomerati urbani, mentre le aree interne e quelle a vocazione industriale tendono a premiare i partiti che si richiamano più o meno esplicitamente ad approcci sovranisti e populisti. Questa divaricazione è stata ampiamente osservata a livello internazionale ed è verificata anche in ambito italiano; nelle elezioni politiche del 2018 i partiti di centro-sinistra hanno raggiunto il 30% nei comuni con oltre 300.000 abitanti mentre sono intorno al 20% in quelli con meno di 100.000. Qualcosa di simile è avvenuto nelle recenti elezioni regionali. Il candidato della coalizione di centro-sinistra ha ottenuto il miglior risultato nel capoluogo regionale, unica città delle Marche a sfiorare i 100.000 abitanti e con un’economia prevalentemente fondata sui servizi, mentre il candidato della coalizione di centro-destra ha ottenuto le maggiori affermazioni nelle aree interne e in quelle a maggiore vocazione manifatturiera. A questa regola generale, nelle elezioni marchigiane si è aggiunta nelle Marche la situazione di disagio delle popolazioni colpite dal terremoto del 2016, appartenenti alle aree più interne e marginali della regione: in queste aree le percentuali di consenso per la coalizione di centro-destra hanno superato in qualche caso il 70%. Nelle recenti elezioni marchigiane si è quindi confermata la capacità dei partiti genericamente etichettati come sovranisti o populisti di intercettare e rappresentare esigenze e disagi che si associano sempre meno alle tradizionali appartenenze di classe o di reddito e sempre più alle caratteristiche dei territori: aree urbane basate sui servizi da una parte; aree marginali o a vocazione industriale dall’altra. Questa polarizzazione è il risultato di una progressiva concentrazione del reddito e della ricchezza nelle principali aree urbane a scapito delle aree interne e periferiche. Di queste ultime fanno parte non solo le aree montane, già tagliate fuori dal primo sviluppo industriale, ma anche quelle che nel recente passato si erano sviluppate proprio grazie allo sviluppo delle attività manifatturiere. Queste ultime sono state investite in rapida sequenza prima dalla globalizzazione e poi dalla quarta rivoluzione industriale (digitalizzazione). Nelle Marche la diffusione sul territorio delle attività manifatturiere è stata particolarmente accentuata tanto che i distretti industriali sono per lo più localizzati in città di media o piccola dimensione. Per decenni questa capacità diffusiva dello sviluppo industriale ha costituito uno degli elementi caratterizzanti del modello di sviluppo delle regioni del nord-est e del centro, tanto che il volume dedicato da Giorgio Fuà all’analisi di questo modello era intitolato “Industrializzazione senza fratture” (1983). A cavallo del nuovo millennio le dinamiche che trainano lo sviluppo dei territori si sono rovesciate a causa di quella che etichettiamo come economia della conoscenza. In questa economia i servizi assumono un’importanza decisiva. Le stesse produzioni manifatturiere sono sempre più dipendenti e compenetrate con i servizi; basti pensare al ruolo assunto dalla ricerca e dall’innovazione per la competitività delle imprese manifatturiere o al crescente valore attribuito dai consumatori ai servizi associati ai prodotti (servitization). Per varie ragioni i servizi, in particolare quelli avanzati, tendono a concentrarsi nei principali agglomerati urbani; di conseguenza, anche le attività produttive, soprattutto quelle a maggiore contenuto innovativo, subiscono questa attrazione. Un’attrazione che riguarda sia il capitale umano (talenti) sia il capitale finanziario, entrambi alla ricerca delle migliori opportunità di impiego; un’attrazione che drena risorse ai territori periferici. Questo fenomeno è evidente a livello mondiale, dove il traino dell’accumulazione e dello sviluppo va concentrandosi nelle grandi megalopoli. Ma avviene anche all’interno dei singoli paesi (si pensi a Londra per il Regno Unito o a Milano per l’Italia) e delle stesse regioni, all’interno delle quali aumenta la disparità economica fra le principali città e le aree periferiche. Da qui le crescenti espressioni di protesta e di disagio che emergono in queste aree; un disagio che ha fondamento nel declino economico e, soprattutto, nell’assenza di prospettive. Il nuovo governo regionale dovrà dimostrare che è in grado non solo di intercettare questo disagio ma anche di saper fornire risposte efficaci. La semplice opposizione alle tendenze sopra delineate non è un’opzione efficace poiché i fattori che ne sono alla base appaiono particolarmente potenti. Cercare di rimettere indietro le lancette della storia sarebbe velleitario: occorrere immaginare nuovi modelli insediativi e produttivi in grado di conciliare la ricchezza ereditata dal passato con le nuove tendenze. Compito affatto semplice, soprattutto per le Marche, già di per sé periferiche e policentriche. Proprio per l’eccezionalità di questa sfida la regione potrebbe tornare ad essere un laboratorio di soluzioni innovative di interesse e di riferimento per l’intero territorio nazionale. Ciò è possibile a condizione di immaginare nuovi percorsi e, soprattutto, di effettuare scelte coraggiose. Per il sistema manifatturiero la chiave è innanzitutto nella qualità del capitale umano e nella capacità di innovazione delle imprese; per le aree interne sarà fondamentale riorganizzare gli insediamenti e i servizi con modalità che li rendano adatti alle nuove esigenze piuttosto che assecondare la polverizzazione ereditata dal passato e non più sostenibile.

*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coord. Fondazione Merloni
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