Burocrazia, sussidi e bonus bloccano la voglia di impresa

Burocrazia, sussidi e bonus bloccano la voglia di impresa

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 3 Agosto 2022, 15:53 - Ultimo aggiornamento: 16:11

La scorsa settimana è stato pubblicato il Rapporto Gem (Global Entrepreneurship Monitor) per l’Italia. Il Gem è il principale strumento di rilevazione dell’attività imprenditoriale a livello mondiale. Per l’Italia il rapporto è curato dal Centro per l’Innovazione e l’Imprenditorialità dell’Università Politecnica delle marche con il sostegno della Fondazione Aristide Merloni. L’aspetto rilevante dell’indagine Gem è che essa è basata su una metodologia comune a livello internazionale così da consentire il confronto fra i paesi. L’attività imprenditoriale è rilevata sia considerando le persone coinvolte nell’avvio di una nuova impresa sia quelle che ne hanno da poco avviato una. Dopo la brusca caduta osservata nel 2020, l’attività imprenditoriale è cresciuta in modo consistente nel 2021 tornando ai valori massimi osservati nell’ultimo decennio. Ciò che è rilevante non è però l’andamento congiunturale ma il confronto del dato strutturale. Da molti anni l’Italia risulta fra i paesi con il più basso tasso di attività imprenditoriale. E la differenza non è di poco conto. Nell’ultimo decennio la percentuale di popolazione adulta coinvolta in un’attività imprenditoriale in Italia non ha mai superato il 5%, rispetto ad una media Ue vicina al 10% e valori negli Stati Uniti e nel Canada che si avvicinano al 20%. Dovrebbe essere superfluo ribadire quanto sia rilevante l’attività imprenditoriale ai fini dello sviluppo e dell’innovazione. Se pensiamo alle Marche, l’eccezionale fase di crescita che ha caratterizzato la regione nella seconda metà del secolo scorso ha avuto come motore principale proprio il rigoglio di nuova imprenditorialità, che si è attività in modo diffuso nella regione, soprattutto nelle attività manifatturiere. Le Marche rimangono una regione con una vivacità imprenditoriale superiore alla media nazionale ma è una posizione che non può consolarci poiché, come appena notato, la media italiana è decisamente insoddisfacente nel confronto internazionale. Non è un caso che il nostro paese è da oltre vent’anni fanalino di coda fra i paesi industrializzati per tasso di crescita e capacità innovativa; la scarsa vivacità imprenditoriale è allo stesso tempo causa ed effetto di questa situazione.

Chiedersi da cosa dipende il progressivo affievolimento della propensione imprenditoriale significa andare alla radice di alcuni dei principali nodi del nostro paese: dal sistema educativo a quello dell’istruzione, dalla giungla normativa alle carenze infrastrutturali. Si tratta di nodi che si sono intricati negli ultimi decenni e che per questo è sempre più difficile affrontare. Difficile ma necessario. Poiché la propensione imprenditoriale, e cioè l’interesse e la volontà degli individui ad impegnarsi e rischiare nell’avvio di nuove iniziative è il principale elemento che rende vitale e dinamica una società. Al contrario, nel nostro paese si va sempre più diffondendo l’idea che lo sviluppo dipenda soprattutto dall’intervento dello stato, invocato per la risoluzione di tutti i problemi, da quelli che effettivamente meritano di essere affrontati a livello collettivo fino a quelli più minuti, che negli ultimi tempi hanno assunto la forma di sussidi e bonus di varia natura. E così, mentre un grande presidente degli Usa nel suo discorso di insediamento invitava i suoi connazionali a chiedersi cosa ognuno di loro potesse fare per il proprio paese, noi non facciamo altro che chiederci cosa lo stato dovrebbe fare per alleviare i nostri problemi. Domanda in molti casi legittima ma che è destinata ad infrangersi nel fatto che in carenza di iniziativa imprenditoriale sarà sempre più difficile per la collettività farsi carico delle effettive situazioni di difficoltà. È probabile che i motivi per cui così pochi italiani si attivano in senso imprenditoriale abbia ragioni più prosaiche, come la farraginosità delle nostre procedure burocratiche, capace di mettere a dura prova anche i più motivati. Di nodi problematici ne abbiamo in effetti accumulati tanti, da quelli generali a quelli più spiccioli. Sarà interessante vedere in che modo i programmi elettorali si propongono di elevare la propensione imprenditoriale, ammesso che del tema vi sia traccia.

*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coordinatore Fondazione Merloni

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