L’anno appena iniziato sarà decisivo per le prospettive di sviluppo dell’economia italiana e regionale. Sulla carta le aspettative sono positive. L’ultima nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza presentato nel settembre scorso dal governo prevede un tasso di crescita del 4,2%, in rallentamento rispetto al 6% del 2021 ma pur sempre fra i più alti degli ultimi decenni. Le Marche sono riuscite ad agganciare la ripresa nel 2021 e non vi è ragione di ritenere che non siano in grado di tenere il passo anche nel 2022. Le ultime previsioni della Svimez attribuiscono alle Marche un tasso di crescita leggermente inferiore a quello medio nazionale nei prossimi anni. La differenza è minima e vi sono i margini per recuperare, anche grazie alle ingenti risorse nazionali ed europee che stanno arrivando alla nostra regione. La vera scommessa, per la Marche come per l’Italia, non è tanto su qualche decimale in più o in meno di crescita del PIL quanto sulla capacità di creare le premesse per assicurare la continuità dello sviluppo a lungo termine. A questo scopo vi sono alcune questioni che debbono essere affrontate e, se possibile, risolte. La prima riguarda il fatto che la crescita, per quanto sostenuta, non sarà omogenea e rischia di acuire le disuguagliane a diversi livelli: fra territori, fra settori e fra categorie di lavoratori. Ne abbiamo drammatica evidenza in questi mesi. Malgrado l’elevato tasso di crescita del PIL sono numerose le situazioni di crisi aziendale e occupazionale, molte delle quali di difficile soluzione. Questa situazione è destinata a permanere o addirittura ad accentuarsi nei prossimi anni a causa dell’accelerazione nella transizione digitale ed ecologica; spinta dagli interventi del Pnrr, dall’evoluzione della tecnologia e del quadro normativo, oltre che dai cambiamenti nei modelli di consumo. Per fronteggiare questa situazione occorre mettere in atto meccanismi molto più incisivi di quelli esistenti per la formazione e la mobilità dei lavoratori. Tanto nel privato quanto nel pubblico. L’obiettivo non può essere quello di ‘salvaguardare’ gli attuali posti di lavoro, molti dei quali sono inevitabilmente destinati a scomparire, ma favorire le possibilità di impiego delle persone accrescendone e valorizzandone le competenze.
* Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coordinatore Fondazione Merloni