Il ritardo italiano e marchigiano per il brevetto unitario europeo

Il ritardo italiano e marchigiano per il brevetto unitario europeo

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 26 Gennaio 2022, 10:20

Il 19 gennaio 2022 è stata una data importante nell’iter di istituzione del brevetto unitario europeo. Da quella data è iniziata la fase di applicazione provvisoria del Tribunale Unificato dei Brevetti, al termine del quale (circa 8 mesi) il nuovo sistema brevettuale potrà considerarsi operativo. Immagino la reazione del lettore: penserà che la notizia sia di scarsa rilevanza per l’attualità politica ed economica italiana e che si tratti di un argomento per addetti ai lavori. Proverò a dimostrare il contrario. Da qualche decennio siamo entrati in quella che viene etichettata come economia della conoscenza. E’ chiamata così poiché l’attività di produzione e applicazione della conoscenza scientifica e tecnologica, in particolare quella che deriva dall’attività di ricerca e sviluppo, è diventata fondamentale in tutti gli ambiti dell’economia e della società. E sono quindi diventati altrettanto rilevanti gli strumenti di protezione e valorizzazione della conoscenza; fra questi i brevetti che sono lo strumento di protezione delle invenzioni, cioè della conoscenza applicata alla produzione di beni e servizi. Non è un caso che le domande di brevetto a livello mondiale hanno conosciuto una vera e propria esplosione negli ultimi decenni passando da circa 1 milione all’anno nel 1995 a 2 milioni nel 2010 per superare i 3 milioni dal 2016. In questo contesto il nostro paese, e le Marche ancor di più, stanno accumulando un ritardo che rischia di risultare penalizzante per le prospettive di crescita futura della nostra economia. L’Italia continua a pensarsi come un paese popolato di persone creative e di geniali inventori; al di là delle percezioni siamo anche il secondo paese manifatturiero nella UE. Ciò però non trova riscontro nei brevetti richiesti e ottenuti da inventori e titolari italiani. Nel 2020 le domande di brevetto all’Epo (European Patent Office) provenienti dall’Italia sono state 4.608, all’incirca lo stesso numero della Svezia che ha un sesto della nostra popolazione. Nello stesso anno le domande provenienti dalla Svizzera sono state oltre 8.000; quelle dalla Francia hanno superato le 10.000; quelle dalla Germania oltre 25.000.

Le domande di brevetto all’Epo da titolari marchigiani hanno oscillato negli ultimi anni fra 100 e 150. Il distacco dell’Italia dai principali paesi industrializzati è ancora più evidente se consideriamo la copertura brevettuale nelle altre grandi aree mondiali: nord America e Asia. Il ritardo italiano e marchigiano in questo ambito è spiegato da diversi fattori: la composizione settoriale della nostra manifattura, caratterizzata da produzioni a bassa intensità di ricerca e sviluppo; la ridotta dimensione media delle imprese e la conseguente difficoltà a valorizzare le invenzioni nel contesto internazionale; la scarsa diffusione della conoscenza degli strumenti di difesa della proprietà intellettuale. Non sono argomenti per addetti ai lavori poiché la scarsa attenzione dei cittadini e delle imprese si traduce in una scarsa considerazione da parte di legislatori e governanti. Dai quali ci aspettiamo azioni più incisive di quelle fin qui messe in atto per favorire l’utilizzo di questi strumenti. La data del 19 gennaio è rilevante per il sistema imprenditoriale italiano poiché con l’istituzione del brevetto unitario europeo sarà possibile ottenere la copertura su tutti i paesi dell’UE aderenti all’accordo (attualmente 25 su 27) con un notevole risparmio nelle procedure e nei costi. Soprattutto, vi sarà un’unica corte cui ricorrere in caso di violazioni. E’ un notevole passo avanti nella costruzione del mercato unico, ed è soprattutto una buona notizia per le piccole e medie imprese poiché riduce i costi e semplifica le procedure per l’ottenimento e la difesa dei brevetti. C’è da augurarsi che le nostre imprese ne prendano nota e che i nostri policy maker incrementino le azioni volte a favorire la conoscenza e l’utilizzo degli strumenti di proprietà intellettuale. In un contesto nel quale la conoscenza scientifica e tecnologica è diventata il principale fattore di sviluppo e l’innovazione la principale leva competitiva delle imprese non possiamo permetterci ulteriori distrazioni su questo fronte. 

*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coordinatore Fondazione Merloni

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