I quattro verbi di Francesco nell’impegno per i migranti

I quattro verbi di Francesco nell’impegno per i migranti

di Don Aldo Buonaiuto
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Domenica 29 Agosto 2021, 01:35

Tutto il mondo ha gli occhi puntati sull’Afghanistan dopo i tremendi attentati messi in atto nei giorni scorsi e costati la vita ad almeno 170 individui, quasi tutti civili, tra i quali molti bambini. Le tragedie che lì si stanno perpetrando interpellano seriamente le coscienze di noi europei. La Costituzione italiana, al pari di quelle degli altri Paesi Ue, riconosce il diritto di asilo a ogni straniero al quale sia impedito nella sua Nazione l’effettivo esercizio delle libertà democratiche. Papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti” riassume l’impegno nei confronti dei migranti in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Non si tratta di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di condividere un cammino e di aprirsi alle differenze, valorizzandole nel segno della fratellanza umana. Ciò vale in via prioritaria per quanti, come gli afghani, fuggono da gravi crisi umanitarie. Inoltre, al drammatico momento dell’evacuazione d’emergenza, devono seguire misure strutturali. Coloro che arrivano tra noi troppo spesso non sono integrati, perché noi, che li accogliamo, manchiamo di politiche autenticamente capaci di far convivere esigenze basilari come l’insegnamento della lingua italiana e l’armonica e mai solitaria collocazione in piccole unità abitative che scongiurino il pericolo di ghetti e ambienti di emarginazione. I vescovi della Conferenza Episcopale Italiana, osservando che nel recente passato vi sono state «scelte che si sono rivelate nel tempo poco lungimiranti e incapaci di garantire la necessaria sicurezza alla popolazione afghana», si sono rivolti alla comunità internazionale con un appello: «Si faccia finalmente garante della pace in Afghanistan e nell’intera regione mediorientale, da troppo tempo attraversata da conflitti e segnata da violenze che sempre ricadono sulla popolazione civile, gravando soprattutto sulle persone più fragili e indifese. Il mondo non può voltare gli occhi dall’altra parte, fingendo di non vedere che, nelle complesse vicende politiche e militari in corso a Kabul e nel resto del Paese, ancora una volta vengono meno i diritti di bambini, donne, anziani, minoranze etniche e religiose.

Invitiamo tutti a volgere lo sguardo del cuore verso chi è più bisognoso e vive in povertà e malattia». Intanto si moltiplicano anche iniziative di preghiera a favore degli afghani. Nelle carceri italiane, ad esempio, c’è molta vicinanza e partecipazione al dolore che stanno patendo i profughi. L’Ispettorato dei cappellani delle carceri e la Caritas hanno raccolto la richiesta di tanti detenuti che intendono far sentire il loro sostegno a tutti coloro che stanno lasciando il Paese e per questo hanno organizzato due giornate di preghiera, la prima realizzata ieri, la seconda in programma oggi. La Chiesa è sempre più chiamata a essere senza frontiere e madre di tutti allargando le sue braccia ad accogliere tutti i popoli, senza distinzioni e confini per annunciare al mondo che “Dio è amore”. Tutti gli uomini di buona volontà sono invitati a diffondere la cultura del dialogo e dell’accoglienza, secondo la quale nessuno va considerato inutile, fuori posto o da scartare. Le diffidenze e ostilità suscitate dall’accoglienza di questi nostri fratelli più disagiati spesso si esauriscono quando si viene realmente a conoscenza delle storie di vita, di persecuzione o di miseria delle persone coinvolte. Il carattere multiculturale delle società odierne incoraggia la Chiesa ad assumersi nuovi impegni di solidarietà, di comunione e di evangelizzazione approfondendo e rafforzando i valori necessari a garantire la convivenza armonica tra persone. A tal fine non può bastare la semplice tolleranza, che apre la strada al rispetto delle diversità tra persone di origini e estrazioni differenti, ma è necessario favorire un atteggiamento che abbia alla base la cultura dell’incontro, l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno. Gesù è sempre in attesa di essere riconosciuto nei migranti e nei rifugiati, nei profughi e negli esuli che ci esortano a condividere le risorse, talvolta anche rinunciando a qualcosa del nostro acquisito benessere pur di costruire il bene comune.

* Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII

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