Una settimana fa ad Assisi il Pontefice ha firmato l’enciclica “Fratelli tutti”. Nella stessa Basilica Papale di San Francesco, ieri pomeriggio, è stato beatificato Carlo Acutis, un ragazzo che avrebbe potuto vivere nell’agio e invece si chinò sulle piaghe degli ultimi. In ospedale, prima di morire a 15 anni di leucemia fulminante, disse: «Offro al Signore le mie sofferenze». «C’è chi sta peggio di me», spiegava ai medici che gli domandavano se stesse soffrendo. Un giovane innamorato della vita e del Vangelo che considerava l’Eucarestia la sua «autostrada per il Cielo». E che fece arrivare la Parola di Dio ai suoi coetanei attraverso internet al punto che Papa Francesco, nella sua lettera Christus vivit rivolta a tutti i giovani del mondo, lo ha presentato come modello di santità giovanile nell’era digitale. Scrive di lui il Santo Padre: «Ha saputo usare le nuove tecniche di comunicazione per comunicare valori e bellezza». Elevarlo agli onori degli altari è un incoraggiamento della Chiesa a un mondo giovanile attraversato da una pesante crisi educativa. Infatti, la mancanza di punti di riferimento sani nella famiglia e nella società spinge i giovani a ricercare dei falsi e cattivi modelli nell’ambiente che li circonda e ad assorbire messaggi che tendono a creare l’illusione di una vita scontata e priva di sacrifici. Un mondo eticamente sempre più povero e sottomesso alle regole del profitto rischia di creare generazioni disorientate, fragili, frustrate e incapaci di coltivare un autentico senso della responsabilità personale. Proprio per questo, diffondere con entusiasmo la testimonianza di esempi virtuosi aiuta anche a contrastare una sorta di pseudo-cultura che propaga gli aspetti più negativi dell’esistenza crogiolandosi nel rappresentare il male, la devianza, la disperazione. Invece il quindicenne divenuto beato, per la sua buona frequentazione della Rete, è stato proposto come patrono di Internet. Avrebbe potuto fare di tutto nella vita. Ma Dio aveva un piano diverso. E Carlo lo aveva compreso negli ultimi giorni della sua vita: «La nostra meta deve essere l’infinito, non il finito. L’infinito è la nostra patria. Da sempre siamo attesi in cielo».
*Asssociazione Comunità Papa Giovanni XXIII