Le sfide del nostro tempo: il clima, i giovani e il lavoro

Le sfide del nostro tempo: il clima, i giovani e il lavoro

di Sauro Longhi
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Lunedì 26 Settembre 2022, 17:55 - Ultimo aggiornamento: 29 Settembre, 14:56

Ho iniziato a scrivere queste mie considerazioni appena tornato dal seggio e spero che tanti, tutti abbiano esercitato il diritto fondamentale di ogni democrazia, il voto. Oggi abbiamo gli esiti, molti saranno i commenti sulle prospettive di governo e sulle opportunità perse. Non potendo prevedere il futuro mi asterrò da questi commenti correndo il rischio che in pochi leggeranno questo editoriale. Vorrei invece proporvi una lettura delle complessità del presente che attraversiamo. Venerdì scorso, organizzato dal movimento di Fraidays For Future, si è tenuto in varie piazze d’Italia e del Mondo una mobilitazione, uno Sciopero Globale per il Clima per chiedere ai politici e ai leader mondiali di dare priorità alle persone e non al profitto e far tornare la crisi climatica al centro delle scelte politiche.

Manifestazioni che hanno visto la partecipazione di tanti giovani che hanno a cuore il proprio futuro e che pretendono di vivere in un pianeta più equo, più rispettoso dell’ambiente, con politiche economiche e sociali capaci di ridurre le tante diseguaglianze presenti. Se è vero che la maggioranza della popolazione continua a impoverirsi con condizioni sociali sempre più incerte per la crisi climatica, l’inflazione in continuo aumento, la precarietà del lavoro con conseguente perdita di dignità e la guerra che non sembra avere fine, è tempo di intraprendere scelte coraggiose. Papa Francesco da Assisi ha dato voce e speranza a queste persone, invitando i tanti giovani presenti ad assumere un ruolo attivo: «Voi siete soprattutto studenti, studiosi e imprenditori, ma non dimenticatevi del lavoro, non dimenticatevi dei lavoratori. Il lavoro è già la sfida del nostro tempo, e sarà ancora di più la sfida di domani. Senza lavoro degno e ben remunerato i giovani non diventano veramente adulti, le diseguaglianze aumentano».

Chi si sta candidando ad assumere il governo del Paese spero non dimentichi queste parole. L’Europa per una guerra non voluta e subita, sta perdendo lo spirito e la speranza dei padri fondatori che con il trattato di Roma nel 1957 istituirono la Comunità economica europea dando inizio al più grande e lungo processo di pace che la storia ricordi.

Le nazioni che fino a dieci anni prima si erano combattute nel più terribile degli eventi, la Seconda guerra mondiale, decisero di avviare un percorso per riconoscere e valorizzare le proprie differenze, le proprie specializzazioni, sviluppando politiche di riequilibrio economico e sociale con aiuti anche considerevoli verso le regioni in maggiore disagio come le regioni del sud d’Europa. Un progetto che ha garantito 75 anni di pace, cancellato le frontiere, creato opportunità economiche e sociali. I tanti progetti europei hanno fatto incontrare persone, fatto apprendere le diversità, cancellato diffidenze. Tra questi ricordo il progetto Erasmus che ha formato i primi cittadini d’Europa.

Sotto la spinta della guerra in atto, le speculazioni sul costo dell’energia, la paura verso le persone che emigrano e cercano riparo in Europa, molte di queste certezze sembrano vacillare, stanno risorgendo nazionalismi in ogni angolo d’Europa, che ora chiamano politiche sovraniste. In Italia, il riverbero di queste politiche sta portando alcune Regioni a chiedere una maggiore autonomia per ridurre i contributi di solidarietà delle regioni più ricche e sviluppare una organizzazione scolastica su base regionale con una sanità autonoma sia sull’organizzazione che sulla formazione dei medici, solo per fare alcuni esempi. Una scelta che rischia di dividere ancora di più il Paese intaccando non solo alcuni aspetti economici e amministrativi ma valori fondanti dello stato come istruzione e sanità. Se poi si escludono un milione e mezzo di ragazze e ragazzi che sono nati e hanno studiato in Italia dalla partecipazione attiva alla vita politica e sociale negando loro la cittadinanza, molti dei rischi che corriamo in Europa possono presentarsi anche in Italia con l’eventuale cancellazione di politiche di inclusione e di solidarietà, le uniche capaci di ridurre le diseguaglianze economiche e sociali. 

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