Le ragioni nascoste dei giovani che imbrattano le opere d’arte

Le ragioni nascoste dei giovani che imbrattano le opere d’arte

di Rossano Buccioni
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Martedì 15 Novembre 2022, 06:05

Scaraventando zuppa di verdura sul “Seminatore” di Vincent Van Gogh, alcune attiviste di Ultima Generazione, uno dei movimenti di protesta ecologista più attivo sulla ribalta mediatica attuale, hanno affermato di agire per amore della vita, dunque anche per amore dell’arte. Sostenendo che la società del rischio ci costringe a confrontarci con un futuro dove un numero consistente di persone faticherà a trovare da mangiare, le giovani contestatrici si domandavano come possiamo continuare a pensare alla normale tutela delle arti nelle forme tradizionali della conservazione museale. Questa ed altre azioni dimostrative hanno sintetizzato una brutale quanto inusuale sovrapposizione di codici espressivi, la cui matrice culturale riguarda una sospensione del giudizio costruita sull’agone emergenziale da movimenti mossi dall’intensità oppositiva tra vecchio e nuovo, a sua volta espressione di una profonda frattura intergenerazionale tra chi ha avuto tutto (adulti) e chi rischia di non avere nulla (giovani). Mentre la curatrice della mostra si limitava a dire che Van Gogh è più forte di ogni forma di protesta ed il ministro della cultura affermava laconicamente che in merito all’aggressione la giustizia farà il suo corso, il focus della questione emergeva altrove, sulla linea di faglia che determina l’impossibilità di mutare evidenze scientifiche in proposte di quotidianità innovativa.

I giovani attivisti in realtà non sfregiano per distruggere – colpiscono un’opera che sanno adeguatamente protetta – ma ne ricercano una sorta di sospensione denotativa, forzandola dentro un contesto intermittente di significato che, una volta rovesciato, smentisce le intenzioni poetiche del prestigioso autore costretto alla cessione della sua testualità a favore di quella (debolissima) di sconosciuti attivisti agitati dal demone neo-conflittualistico. Il grande pubblico rifiuta questa cessione con lo stigma che spesso determina l’effetto opposto rispetto a quello ricercato dai manifestanti, cioè attirare l’attenzione sull’emergenza climatica. I nuovi movimenti di protesta ambientalista adottano forme espressive miste, non insensibili ai richiami della street art ed alla ri-semantizzazione delle geometrie urbane, ricercando la contaminazione dello spazio museale inteso come luogo politico puro e parassitando i canoni estetici tradizionali attraverso la forza di un nuovismo perentoriamente rivendicativo. Già la pop art contemplava comportamenti provocatori e trasgressivi nei confronti del consueto, con l’infrazione dei tabù espressa in una innovativa ripetizione della produzione seriale, vocata al sensibile al riconoscimento di inediti valori prontamente riconosciuti dalle strutture socio-culturali dell’arte contemporanea.

Nella New York degli anni ‘70 si sviluppa il fenomeno del graffitismo con molti ragazzi che firmano muri anonimi e mezzi di trasporto pubblico con la rabbia istantanea espressa dai colori di bombolette spray, utilizzando uno specifico lettering con l’obiettivo di diffondere il più possibile la propria matrice identitaria.

Si tratta di fenomeni che consentirono ai giovani di appropriarsi dello spazio pubblico, non tanto per connotare la propria appartenenza ad una particolare gang, ma innanzitutto per manifestare la propria individualità. I deturpatori seriali, criticano le tecniche museali di difesa della memoria sociale, svalutandone la visione distorta della realtà gravemente minacciata nelle sue determinanti biofisiche di base, in molti luoghi ed eventi mostratesi già ampiamente incompatibili con la vita umana. Anche i giovani deturpatori simbolici di opere d’arte possono essere definiti come appartenenti sui generis al filone dell’arte di strada, intenti a disseminare, non solo i luoghi dell’arte – sottraendoli alle politiche della memoria ed all’antropologia della fruizione artistica museale – ma costruendo una nuova prossimità espressiva pericolosamente a ridosso delle forme artistiche tradizionali, esprimibile all’interno dei processi di soggettivazione e forte personalizzazione delle rivendicazioni politiche e di protesta.

Se lo stesso termine gang - giovanile in particolare - non è da intendere esclusivamente nell’accezione di gruppo criminale, ecco che nei casi di imbrattamento comunicativo che commentiamo, entrano in scena diversi elementi sinergici, non ultimo quello della scelta dell’azione dimostrativa che ricalca consolidati stilemi ostativi e di critica culturale legati all’emergere di nuove istanze interpretative della realtà sociale tipiche dell’universo giovanile. Sarebbe da chiedersi perché tali eventi di sfregio si verifichino nel campo dell’arte e non, per esempio, nella turris eburnea dell’economia finanziaria, anche se in verità, stiamo assistendo ad un progressivo allargamento dello spazio sociale dimostrativo alla base della ratio del movimento di protesta che, di volta in volta, blocca il traffico autostradale, aereo, ecc.

E’ interessante notare che viene fatto un utilizzo rovesciato di un gesto che, scatenandosi contro le opere d’arte, ha da sempre suscitato sdegno e riprovazione, a motivo della difficoltà nel comprendere i meccanismi che spingono alcuni individui a dirigere la loro aggressività nei confronti dei capolavori artistici. Il problema però resta quello di una costruzione pregiudiziale del gesto rivendicativo in una chiave certamente emergenziale, ma che riguarda non tanto la crisi ecologica – che in molti continuano a negare – ma piuttosto le forme tipiche di espressione dei giovani le quali spesso sono incanalate verso una interpretazione pubblica legata ai canoni dell’emergenza. Anche su queste costruzioni negative della cultura e sub-cultura giovanile che andrebbe gettato del succo di pomodoro.

* Sociologo della devianza e del mutamento sociale

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