Quando la guerra passa dalla metafora alla realtà

Quando la guerra passa dalla metafora alla realtà

di Rossano Buccioni
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Martedì 15 Marzo 2022, 11:50

Le porte girevoli tra metafora e realtà della guerra impongono la sfiancante partita a scacchi tra verità e verosimiglianza e tra animalità ed umanità (ospedali bombardati, funerali impediti, fosse comuni, ecc.). La guerra ha sempre fornito potenti espedienti metaforici che abbiamo continuato ad utilizzare anche nella recente lotta al virus, dando in qualche modo per scontate le pesanti implicazioni culturali e politiche che l’immaginario bellico porta con sé. La pandemia che il pianeta sta attraversando è la dimostrazione che viviamo nel più complesso dei mondi possibili, nell’orizzonte dell’incertezza globale, perchè l’evento che viviamo non è una pandemia in sé, ma la risultante di più elementi e vettori causali, come la malattia epidemica in contesti di società a rete, l’utilizzo del big data per affrontarla, ecc.

Le metafore belliche sembravano semplificare la costruzione di immaginari e narrazioni emergenziali, ma ora ci scopriamo prigionieri della vastità del loro paradigma interpretativo che subiamo come una minaccia perchè non siamo nella condizione di conoscere le conseguenze delle azioni dei diversi attori sul campo, mentre lo scoppio di una guerra ci costringe a farlo in modo quasi ossessivo. La psicologia della complessità ci aveva costretto ad abbandonare visioni della realtà dicotomiche che sono tutt’uno con lo sciagurato paradigma bellico, una tragica distorsione della realtà che semplifica ciò che è complesso, aggiungendo scoramento “all’ansia che si specchia sul fondo” (H. Blumemberg). Ce ne accorgiamo quando terribili eventi lo impongono pur essendo il più banale degli schemi, la messa in opera de-umanizzante di una semplificazione estrema, alla ricerca di una certezza assoluta fondata sulla riduzione degli eventi a mera dicotomia di potenza – tra amici e nemici – che perde di vista l’interconnessione tra le persone ed il contesto socio-strutturale. Non solo, ma tale semplificazione riesce ad incrementare i ritmi trasformativi dei sistemi di azione, negandoli alle logiche ordinarie della differenziazione sociale.

Nella visione lineare, la pandemia è stata letta come un problema da eliminare, ma ad una visione più attenta non poteva rivelarsi come semplice oggetto da interpretare, risultando elemento tra più elementi di un sistema composto da vettori multipli che agiscono realmente e contemporaneamente. Proprio quando la pandemia diveniva vettore di un sistema complesso e multi-agente - la cui risultante è l’evento imprevedibile propriamente detto - il conflitto ucraino torna a legittimare modalità di lettura della realtà molto lontane dalle specifiche esigenze del livello di differenziazione sociale raggiunto. In un mondo complesso in cui non esiste più la semplicità ontologica della Modernità, la guerra diventa anche conflitto delle percezioni che impone la sospensione delle nostre normali osservazioni della realtà, costretti come siamo a subire una sconcertante riduzione degli eventi a vergognosi dualismi che il conflitto alimenta rigorosamente in chiave oppositiva.

Nonostante il ricorso a tecniche multiple di disumanizzazione che riattivano faglie ideologiche sul versante del legame guerra/ideologia e sadismo/pulsione di morte - nella sospensione di ogni logica di “cura del mondo”(E.

Pulcini) – non dobbiamo dimenticare che la guerra accresce i ritmi della differenziazione sociale perché interviene dal lato della sua selezione, mentre i tempi di pace lavorano su quello della più prevedibile stabilizzazione dei cicli evolutivi. Se l’epidemia di Covid 19 ha destabilizzato l’equilibrio sociale ordinario – modificando il ritmo “incremento vs riduzione di complessità” – la guerra sta accelerando la selezione strutturale, mantenendo però una logica reticolare/orizzontale che si dimostra fortunatamente più forte di ogni sua smentita ispirata al Novecento. Non è un caso che questa guerra si appresta ad avere sulla transizione energetica lo stesso effetto che le due guerre mondiali hanno praticamente determinato sulle trasformazioni della medicina scientifica (medicina d’urgenza, pronto soccorso, rianimazione, consenso informato, ecc.).

La differenziazione sociale più complessa della storia umana si ritrova a fare i conti con il più pericoloso residuato dell’immaginario bellicista occidentale: la minaccia di un conflitto nucleare, che da un passato plumbeo torna a gravare sulla condizione umana al tempo presente, con la sua natura ferocemente esogena, quanto sbrigativamente rimossa. Se con la pandemia abbiamo imparato che non esiste più un soggetto (umano) separato dal mondo, che fronteggia un oggetto (l’epidemia) su cui poter agire, essendo noi stessi ed i nostri comportamenti un vettore causale che tra numerosi altri compongono il sistema da cui emerge la risultante (l’evento critico), l’emergenza bellica si riattiva per opposizione a partire dalla tirannide allucinata del soggetto decisore, che piega la realtà a logiche distruttive, ricercando distorsione ed inganno districandosi tra vero e verosimile.

La scelta della guerra come soluzione di controversie offende la sensibilità contemporaneità e la sua faticosa apertura alle questioni che ne minacciano autenticamente l’esistenza, costituendone la smentita all’interno di un quadro logico miserabile, altamente regressivo e violento. Se la pandemia non era solo un oggetto da interpretare, né un problema singolo da risolvere, ma un vettore causale tra tanti, dove il nemico era da studiare e rendere innocuo mettendo in sicurezza le persone dal contagio reciproco, quella attuale è una fase di sangue e di aggressione in cui un antagonista – fuor di metafora - è solo da combattere, riconsegnando il nostro destino al criterio delirante del fine che giustifica sempre i mezzi.

* Sociologo della devianza e del mutamento sociale

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