Da Benedetto XVI a Pelè, il lungo addio mediatico

Da Benedetto XVI a Pelè, il lungo addio mediatico

di Rossano Buccioni
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Martedì 10 Gennaio 2023, 06:20

Dall’ultima frase del Papa emerito Joseph Aloisius Ratzinger rivolta alla Signoria divina, alle folle oceaniche che piangono la scomparsa di Edson Arantes do Nascimento, il re del calcio, in arte Pelè. Periodicamente l’amore guadagna ribalte mediatiche inattese, essendo uno dei sentimenti che più si prestano a deleghe funzionali, pur restando – nella forma amore/passione - poco compatibile con la forte differenziazione della struttura sociale.

Nel primo caso, quello di Benedetto XVI, abbiamo avuto la scomparsa di una tormentata guida della Chiesa Cattolica che soffre il mondo secolarizzato e, nel secondo, un re (o Rei) che con le sue gesta sportive ha contribuito a fare del calcio una religione laica, con ritualizzazioni, sette (culture ultrà), giornalismo specializzato ed elevati ritorni economic Karl Marx dovrebbe ammettere che ormai è il calcio, non più la religione, l’oppio dei popoli. La società moderna riserva passioni smodate a protagonisti pubblici che riescono a canalizzare l’inconscio collettivo su schemi forti di identificazione e dis-identificazione, dualizzando sulla dimensione psichica amore/odio la capacità di un protagonista del contemporaneo di parlare alle folle solitarie alla spasmodica ricerca di modelli identitari.

Molto spesso l’amore per un personaggio pubblico - uno sportivo o un divo dello spettacolo - serve a mascherare l’incapacità di amare o la sofferenza patita nel rapporto sentimentale con un’altra persona. Come ogni fenomeno dell’esistenza umana, anche la vita amorosa è un processo le cui fasi trasformative possono portare sia alla maturazione, sia all’annichilimento delle ragioni alla base dell’intesa. Ogni trasformazione è attivata dalla capacità delle persone coinvolte di salvaguardare un sorta di nucleo di base del legame d’amore, accompagnandolo con il continuo cambiamento delle modalità tramite le quali si esprime, utilizzando necessariamente materiali culturali per dare forma all’incandescenza delle pulsioni. Spesso la coppia decide un percorso di messa in luce delle difficoltà che minano la base della relazione affettiva, evidenziando coraggiosamente un disagio che, pur motivato da attuali e specifiche contingenze, potrebbe esprimere qualcosa di assai più profondo, non tanto il segno di un malessere cresciuto nel tempo, magari sotto le insidiose alonature dell’abitudine. Il vero problema riguarda la difficoltà delle persone che si amano - o sia amavano - a mantenersi all’interno della cornice psico-sociale dell’amore/passione, imputando all’universo psichico del partner la scarsa garanzia dell’improbabilità del sentimento che cementa la relazione.

Se l’amore/passione prevedeva (ed ancora prevede) la necessità da parte di Ego di prendere in carico l’intera vita di Alter, appare evidente come questa modalità di amare - tipica dell’Occidente - si sia selezionata per epoche storiche di complessità e differenziazione chiaramente minori dell’attuale.

Le difficoltà si insinueranno nella vita dei due partner portandoli a credere che non sono riusciti ad elaborare e trasformare nel tempo i cambiamenti personali relativi al normale ciclo di vita della coppia, magari creando nuove modalità nel vivere il sentimento amoroso. In pochi pensano invece alla grande difficoltà di mantenere la coppia unita a fronte della gestione di conflitti attraverso i quali è proprio la dimensione sociale ad esercitare una pressione che sbilancia i delicati equilibri del rapporto tra passione e quotidianità, cioè tra eccezionalità della relazione scelta ed obbligo a normalizzarne le possibilità espressive.

L’incremento della complessità e della differenziazione sociale agiscono infatti alterando la composizione dei conflitti che si determinano nelle articolazioni tra dimensione intrapsichica, dimensione di coppia/famiglia (conflittualità relazionali) e dimensione gruppale (conflittualità sociale). Appare del tutto ovvia la rilevanza del contesto sociale nel quale le persone sono inevitabilmente inserite, capace di determinare interessi e desideri che richiedono attenzione ed impegno proprio nel tenere insieme diverse memorie affettive e diverse costruzioni del senso di auto-efficacia dei partners coinvolti. Tutto ciò emerge soprattutto come discrepanza nei tempi di emersione dei bisogni e dei desideri, nella composizione di interessi spesso opposti e nella difficoltà a coordinare le giuste strategie per la loro soddisfazione. Non solo, ma sembra necessario dover accettare anche all’interno delle relazioni amorose, alcuni principi-guida della differenziazione sociale avanzata, come la capacità di gestire il conflitto o quella di mostrare resilienza, non perché la relazione affettiva sia facile, ma perché le condizioni contestuali sovente si oppongono alla sua permanenza.

Questo vuol dire che se nell’immaginario collettivo il conflitto veniva considerato indicatore di una qualche situazione patologica della coppia, al tempo presente esso diventa la condizione stessa che permette alla coppia di esistere. In un’epoca dove conta il funzionamento e non l’orizzonte di significato, il modo di gestire i conflitti fa la differenza, proprio perché conflittuale è la “normale” collocazione dell’individuo nella struttura di aspettative di comportamento.

Così il numero delle coppie che decidono di iniziare un percorso psicoterapeutico - specialmente all’inizio di una storia per loro significativa - è in costante aumento e ciò evidenzia le nuove modalità di costruzione della relazione amorosa. Si tratta di persone che, in linea con la logica dell’ottimizzazione delle attese di comportamento, si rivolgono allo psicologo per iniziare col piede giusto, temendo una incongruenza tra modalità personali di costruzione del sentimento e modelli sociali di riferimento.

* Sociologo della devianza e del mutamento sociale

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