Se le imprese fanno gruppo l’autonomia diventa qualità

Se le imprese fanno gruppo l’autonomia diventa qualità

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 23 Novembre 2022, 07:20

In un articolo pubblicato lunedì scorso su questo giornale Massimiliano Viti ha dato conto di alcune operazioni di aggregazione d’impresa registrate nella regione nell’ultimo anno. E’ un fenomeno in accelerazione che evidenzia la diffusione di una forma organizzativa che merita specifica attenzione: il gruppo di imprese. Un gruppo è un insieme di società giuridicamente distinte ma che fanno capo allo stesso vertice per mezzo di legami di proprietà.

E’ una forma molto diffusa anche nel nostro paese ed è quella che viene normalmente adottata per gestire al meglio i processi di crescita. I gruppi d’impresa non sempre godono di buona fama. Il riferimento è ai gruppi costituiti da diversi livelli di cascate societarie (le cosiddette scatole cinesi) utilizzati per occultare l’origine della proprietà o a scopo di evasione fiscale. In realtà si tratta di eccezioni. Nella grande maggioranza dei casi i gruppi rispondono a logiche di efficienza e di efficacia nell’organizzazione delle attività produttive. Sono i casi descritti nell’articolo prima citato, per i quali la forma del gruppo consente di mantenere l’autonomia delle singole società all’interno di una dimensione organizzativa di maggiore dimensione. Il tratto distintivo di gran parte delle produzioni manifatturiere italiane e regionali è nella differenziazione. Non prodotti di massa ma prodotti unici, che esaltano la qualità, la flessibilità e la creatività. Come ha efficacemente ricordato Cosimo Rummo, presidente del pastificio Rummo, intervenuto alla recente assemblea pubblica di Confindustria Ancona, il mantra degli imprenditori italiani deve essere: ‘o ci distinguiamo o ci estinguiamo’. La rilevanza delle strategie di differenziazione è fra le ragioni che spiegano la ridotta dimensione delle imprese manifatturiere italiane, molte delle quali si indirizzano a specifiche nicchie di mercato.

La piccola dimensione non è un ostacolo alla qualità delle produzioni e consente alle imprese di tenere fede alla proverbiale flessibilità e capacità di adattamento delle imprese italiane sui mercati internazionali. Malgrado questi vantaggi è sempre più frequente ascoltare imprenditori che sostengono che piccolo non è più bello.

Non perché si propone di passare dalla differenziazione alla produzione di massa. Ma perché sono cambiate le basi della differenziazione e dell’unicità e il modo con cui sono valorizzate sul mercato. La qualità non è solo il risultato della sapienza e dell’esperienza manuale ma sempre più basata sull’innovazione e sugli investimenti in ricerca e nello sviluppo; il valore del prodotto non dipende dal prodotto in sé ma sempre più dai servizi ad esso associati; e fra questi servizi possiamo includere anche l’immagine di marca. Tutti questi aspetti richiedono dimensioni di investimento e capacità organizzative che sono quasi sempre fuori della portata di una piccola impresa.

Il problema della ridotta dimensione delle imprese non è quindi associato alle attività produttive in senso stretto ma alle attività a monte e a valle della produzione; attività che stanno diventando sempre più rilevanti nelle strategie di differenziazione per rendere distintivi i prodotti. I gruppi d’impresa costituiscono una risposta a queste esigenze. Consentono di mantenere la dimensione limitata, tipicamente imprenditoriale, delle singole società, ognuna delle quali specializzata in uno specifico ambito di mercato o in una specifica fase della produzione; allo stesso tempo il gruppo nel suo complesso può disporre di risorse finanziarie e organizzative che sarebbero al di fuori della portata delle singole società, e gestire in maniera accentrata specifiche funzioni.

Il gruppo è una forma organizzativa flessibile anche dal punto di vista della governance. Vi sono gruppi fortemente accentrati nei quali le società operano alle direttive del vertice e altre che lasciano ampia autonomia alle società controllate, anche attraverso il coinvolgimento attivo di soci di minoranza. E’ quindi la forma organizzativa più adatta a conciliare le strategie di differenziazione tipiche delle imprese italiane con la crescente necessità di aumentare la scala nelle attività di ricerca e sviluppo e nel marketing.

* Docente di Economia  lla Politecnica delle Marche e coordinatore  Fondazione Merloni

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