La pandemia da Covid-19 e le tensioni indotte dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia hanno accentuato la tendenza al rallentamento dell’integrazione economica a livello globale. Segnali di rallentamento del processo di globalizzazione erano già emersi in conseguenza della crisi finanziaria internazionale del 2008-2009 e della successiva rivitalizzazione di politiche nazionalistiche e protezionistiche in Usa e in Europa. È sufficiente ricordare le tensioni Usa-Cina e la Brexit. Queste tensioni hanno indotto le imprese a riconsiderare la fitta rete degli scambi di beni intermedi associata alla diffusione delle catene globali del valore, innescando un processo di re-shoring, cioè di ritorno nel paese di origine di produzioni localizzate all’estero.
Le catene globali del valore sono determinate dal fatto che all’ideazione, alla produzione e alla commercializzazione di un prodotto concorrono imprese localizzate in paesi e continenti diversi a seconda della disponibilità dei fattori di produzione e del loro costo. Uno smartphone, per fare un esempio, è composto da diverse centinaia di elementi, la cui realizzazione coinvolge decine di imprese localizzate in paesi e continenti diversi. Le tensioni determinatesi negli ultimi anni hanno indotto le imprese a riconsiderare i vantaggi di servirsi di catene di fornitura a livello globale e una tendenza all’accorciamento della distanza geografica con i fornitori. Allo stesso tempo è cresciuto il consenso per partiti e movimenti che sostengono politiche nazionalistiche e protezionistiche. Vi è stato grande dibattito, già prima della pandemia, sulle cause dell’emergere di sentimenti nazionalistici e di opposizione alla globalizzazione. La principale è individuata nel fatto che i vantaggi della globalizzazione non sono stati distribuiti in modo equo e che intere fasce di popolazione o aree ne sono state svantaggiate. Di qui l’idea che la globalizzazione fosse eccessiva o stesse procedendo con troppa velocità e che fosse necessario un più deciso intervento degli stati per annullarla o frenarla.
Anche in ambito Ue si sono manifestate tendenze nazionalistiche, il cui esito principale è stata la Brexit; sono anche evidenti le diverse posizioni in relazione alla mobilità delle persone e alla gestione dei migranti.
L’industria italiana è meno integrata nelle catene globali del valore e in gran parte dipendente dagli scambi all’interno della Ue. Ciò vale ancora di più per l’industria marchigiana. L’Italia e le Marche potrebbero, quindi, risultare avvantaggiate dal consolidarsi di queste tendenze. Innocenzo Cipolletta ha, però, invitato a riflettere non solo sulle convenienze immediate ma anche sui possibili rischi di un ritorno alla contrapposizione per blocchi. La recente pandemia ci ha ricordato che molti problemi possono essere governati solo a livello globale; primo fra tutti la lotta ai cambiamenti climatici. Per questo occorre scongiurare la prospettiva di un ritorno alla contrapposizione fra blocchi e lavorare per un potenziamento delle organizzazioni internazionali e per un’integrazione globale nell’ambito di relazioni pacifiche fra tutti i paesi.
* Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coordinatore Fondazione Merloni