La morte nell’indifferenza: ribellarsi a questo orrore

La morte nell’indifferenza: ribellarsi a questo orrore

di don Aldo Buonaiuto
4 Minuti di Lettura
Domenica 31 Luglio 2022, 04:35

Uccidere una persona lucidamente, nel corso principale della città, davanti ai passanti e ai curiosi intenti a filmare l’aggressione. È accaduto nella realtà, non è la sceneggiatura di una fiction. Un debole è stato pestato a morte anche se la nostra coscienza individuale e collettiva si rifiuta di ritenere possibile un simile abominio, soprattutto nella nostra regione, ritenuta un’area tranquilla del Paese. Invece la rabbia incontenibile, lo squilibrio criminale hanno spinto un uomo a schiacciare la dignità e la vita di un suo simile. Segno sconvolgente che ormai la barbarie non conosce frontiere né limiti.

Siamo tornati indietro di molti secoli, alle epoche più buie, quando una sola parola o uno sguardo sgradito potevano procurare la morte immediata. Siamo regrediti sui fronti più importanti dell’umanità e cioè sulla centralità delle regole basilari che richiedono il rispetto assoluto dell’altro, delle diversità e anche delle contrarietà. Il pericolo di far governare l’istintività è la minaccia più grave per l’individuo e la collettività. “Caino - disse il Creatore - domina (governa, controlla) la tua istintività o essa dominerà te”. Questa esortazione primordiale dell’Onnipotente sarebbe da approfondire, riflettere e soprattutto riscoprire per recuperare le fondamenta di cui le nuove generazioni non possono fare a meno. La debolezza interiore dei nostri tempi sta provocando una sorta di autodistruzione, peggiore di quella ambientale.

Non basta sconcertarsi dinanzi a questo orrore, bisogna ribellarsi, pacificamente ma con decisione, di fronte all’inerzia delle agenzie educative che sembrano aver abdicato al loro ruolo fondamentale e decisivo nella costruzione di un futuro migliore. Dobbiamo interrogarci tutti sul motivo che ha indotto i presenti all’assassinio a non intervenire, a voltarsi dall’altra parte e addirittura a filmare il massacro quasi fosse un’attrazione turistica o uno spettacolo inconsueto da postare sui social. Sei anni fa, a una manciata di chilometri dalla lite sanguinaria di Civitanova Marche, si è consumata un’altra tragedia, quella del profugo nigeriano cristiano Emanuel, sfuggito in patria agli eccidi terroristici di Boko Haram e massacrato di pugni da un ex pugile a Fermo.

Allora come oggi si tratta di farci carico della parte più crudele e indecifrabile del nostro animo.

È il mistero dell’iniquità al quale le sacre scritture riconducono il millenario conflitto tra Caino e Abele. E proprio lo spirito di distruzione Papa Francesco esorta a trasformarlo in occasione di conversione e di redenzione. Invece di puntare l’indice contro dinamiche sociali impersonali e astratte, occorre riflettere in maniera approfondita sulla devastazione interiore che rende possibile una tragedia del genere. Uccidere a mani nude un fratello in condizioni di estrema fragilità non è “solo” un assassinio, è qualcosa di più e di peggio. In questa drammatica distorsione si annidano demoni nascosti, di cui non siamo nemmeno consapevoli finché la cronaca non deflagra: sono i demoni dell’indifferenza, dell’avidità, del farsi Dio di se stessi, del tornaconto personale più bieco fino a giustificare il disprezzo della vita umana se è minimamente di intralcio a ciò che desidero o più semplicemente ritengo sia giusto per me, unico giudice che conta. È il ribaltamento della scala valoriale che porta la comunità a degradare in una giungla spietata. Se il debole diventa un facile bersaglio, riprecipitiamo nel cuore di tenebra che ha autorizzato, tollerato e persino incoraggiato la soppressione violenta degli “altri da noi”.

La fratellanza (come insegna l’ultima enciclica del Papa) o include tutti oppure diventa l’ipocrita copertura ai nostri egoismi e comodità pagati con il sangue delle creature più indifese. Per una drammatica coincidenza l’omicidio di Civitanova è coinciso con la giornata mondiale della tratta nella quale viene proclamato il principio universale che “nessuno è straniero su questa terra”. Siamo tutti in pericolo se una umile richiesta di aiuto si tramuta nel pretesto scatenante la furia incontrollabile che cova come il fuoco sotto la cenere. Quando e dove avverrà la prossima esplosione di odio distruttore? Camminiamo tutti su un terreno minato: o disinneschiamo gli ordigni dell’ira e dell’intolleranza oppure potremmo essere noi le prossime vittime delle bombe il cui boato ascoltiamo in lontananza.

* Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII

© RIPRODUZIONE RISERVATA