Lo stereotipo e il pregiudizio come riduzioni della complessità sociale

Lo stereotipo e il pregiudizio come riduzioni della complessità sociale

di Rossano Buccioni
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Martedì 11 Gennaio 2022, 10:35

Sono molte le circostanze nelle quali sperimentiamo la forza del pregiudizio e dello stereotipo sociale (contro le donne, gli esclusi o semplicemente a danno degli abitanti di un paese limitrofo). Fu il giornalista Walter Lippman che introdusse il termine, operando una distinzione tra il mondo reale e quello pro-determinato dallo stereotipo, nutrito di immagini tenacemente radicate in noi, probabilmente una sintesi sinestesica (di ricordi e percezioni) che attribuisce valore di verità ad una silloge di strategie semplificatorie che disegnano l’immediata accessibilità e valutabilità di un mondo. Gli stereotipi tendono ad essere incredibilmente simili all’interno di un dato sfondo culturale, esercitando un effetto di omogeneizzazione espressiva in contesti di forte anonimato ed indifferenza, determinando facilmente condizioni immediate di intesa sociale.

Lo stereotipo economizza dunque la comprensione della realtà, risparmiando lo sforzo di coglierne anche le poco rassicuranti sfumature, svolgendo sia una funzione cognitiva di semplificazione, sia quella di prezioso rinforzo valoriale, mantenendo saldi i parametri della propria identità sociale costruita seguendo uno schematismo differenziale (in più o in meno) rispetto agli altri. Una volta appreso, lo stereotipo inizia ad auto-alimentarsi attraverso specifici processi cognitivi, selezionando preferibilmente gli elementi della realtà che gli sono omogenei e trascurando quelli che lo metterebbero in discussione. Inoltre gli stereotipi attivano il potente meccanismo psico-sociale della “profezia che si auto-avvera”, rappresentando una persona in base alle caratteristiche che rinforzano condizioni contestuali di piena conferma del meccanismo sterotipale. A  fronte di queste valutazioni, si può davvero lottare contro lo stereotipo sociale oppure si può al massimo conviverci? Le persone hanno l’innata tendenza a formarsi rapidamente impressioni sui loro simili, senza problematizzare i propri parametri di accesso alla realtà consolidati dall’esperienza e senza eccessiva analisi conscia di ciò che fanno.

Questi automatismi sociali assumono un rilievo crescente nella “società del rischio”, dove le decisioni individuali sui corsi di azione si moltiplicano a fronte di un costante incremento del pericolo di delusione delle aspettative di comportamento. Per ragionare e funzionare nei termini del pensiero automatico, gli individui devono utilizzare degli schemi, cioè delle strutture mentali che organizzano conoscenze e rappresentazioni del mondo sociale. Tali strutture influenzano profondamente le informazioni che memorizziamo e che finiscono per strutturare i repertori di risposte alle circostanze in cui ci troviamo ad agire.

Secondo gli psicologi sociali, si determina spesso un “effetto primacy”, in base al quale la prima informazione che riceviamo su uno specifico dato, finirà per influenzare le nostre informazioni successive, anche attraverso lo stereotipo che consiste nell’attribuzione di un numero ridotto di caratteristiche ad un insieme più complesso di elementi, contenendoli in un’unica macro-categoria.

Gli individui infatti categorizzano in base a ciò che considerano in accordo con una regola ed all’interno di una data cultura, ciò che viene valutato come elemento normativo, presenterà una certa ubiquità, suggerendo le architetture mentali di rappresentazioni socialmente condivise. Si comprende bene dunque perché, una volta costituito, lo stereotipo si mostri resistente al cambiamento, anche quando sopraggiungono nuove informazioni destinate in qualche modo a modificarlo.

Costruito sull’incastro tra linguaggio e struttura sociale, lo stereotipo potrà anche profittare di una pre-comprensione intuitiva del rapporto individuo/società - di tipo meccanicistico - e dell’impossibilità di controllare gli effetti sui gruppi umani di un inconscio sociale che ha valenza pre-linguistica. In molti casi, lo stereotipo si costruisce come una generalizzazione condotta su un gruppo di persone, in cui caratteristiche salienti sono destinate a relativizzare le differenze tra i membri, assecondando tendenze che spesso limitano la stessa garanzia giuridica della specificità individuale, dato che la semplificazione stereotipata si costruisce in alternativa alla scelta razionale e per opporre resistenza alla sua destrutturazione responsabile in vista del raggiungimento di livelli rappresentativi diversi. Ove adeguatamente limitato, lo stereotipo finirà comunque per riorganizzare elementi ostativi rispetto agli ambiti da cui risulta espulso.

Lo stereotipo, quindi, si ottiene semplificando la realtà, nella sua natura sfuggente, schematizzandola per forzarla in uno schema univoco, da utilizzare per inquadrare rapidamente un problema, una situazione o un individuo. Vivendo un incremento della differenziazione sociale, la forza e longevità dello stereotipo divengono elementi contro-intuitivi (come nella manifestazione di forme di disumanizzazione proprio in contesti ad alto sviluppo socio-istituzionale). Il classico esempio che si potrebbe portare è quello dello stereotipo di genere, con la credenza piuttosto radicata che vuole le donne più loquaci e tendenti all’empatia e gli uomini più metodici ed inclini all’aggressività. La drastica semplificazione che se ne ricava ormai non si accorda più con l’incremento della differenziazione sociale, centrata sulla formalizzazioni di ruoli adatti alla funzione e non al mantenimento di una gerarchia sociale. Certamente permane una funzione di semplificazione della complessità, ma non sarebbe la prima volta in cui un dispositivo sociale mantiene la sua efficacia contro lo scopo per il quale è evoluto.

*Sociologo della devianza e del mutamento sociale

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