Le crisi? Terapie inadeguate e politici poco lungimiranti

Le crisi? Terapie inadeguate e politici poco lungimiranti

di Pietro Alessandrini
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Sabato 3 Settembre 2022, 05:10

Preoccupante e impressionante. Sono i due aggettivi che meglio rappresentano la situazione attuale. È molto preoccupante lo stato di crisi che stiamo vivendo, che si estende a macchia d’olio. L’elenco è lungo: dalla crisi finanziaria, alla deflazione, alla crisi energetica e ambientale, alla pandemia, alla crisi della pace con la guerra in Ucraina, all’aumento del debito pubblico, alla ripresa dell’inflazione. Ci sono interazioni da contagio che alimentano queste crisi, ampliandone la durata e l’impatto su un corpo malato, logorato da una serie progressiva di complicazioni e da terapie inadeguate.


Per un breve riepilogo, partiamo dalla crisi finanziaria 2009-2012, che ha innescato la crisi di fiducia che ha frenato gli investimenti. Ne è conseguita nel 2018-2020 una crisi di deflazione, ossia di prezzi declinanti, che sono un segnale evidente di debolezza della domanda. Per risollevare l’economia debilitata, le banche centrali hanno ceduto liquidità alle banche fino ad incentivarle con tassi di interesse negativi, purché finalizzassero i prestiti agli investimenti delle imprese. In aggiunta hanno a lungo acquistato titoli di debito pubblico, consentendo ai governi di indebitarsi a tassi ridotti, senza ricorrere alla tassazione. In questa fase, la politica monetaria ha adottato ogni strumento disponibile per fronteggiare la crisi finanziaria. Strumenti che hanno efficacia di breve respiro.

Purtroppo prima di vederne i risultati positivi è subentrata la crisi pandemica, che ha radici anche nel dissesto ambientale e ha ulteriormente indebolito l’economia da entrambi i lati della domanda e dell’offerta, in seguito a misure di lockdown. I governi sono intervenuti con sussidi a sostegno delle imprese. Ricorrendo a maggiore indebitamento pubblico, perché finanziarli con la tassazione avrebbe peggiorato la crisi dell’economia. A questo punto si sono accesi altri focolai di crisi, sui quali la guerra in Ucraina ha operato da acceleratore. La messa a rischio delle forniture di gas, petrolio, e anche di grano e altri prodotti primari, ha fatto aumentare i prezzi, alimentando aspettative di ulteriori aumenti.

La speculazione sulle aspettative di inflazione è la più temuta dalle banche centrali, perché sanno che è difficile controbatterla, soprattutto se tratta di inflazione da costi. Nel giro di soli due anni 2020-2021 la situazione si è ribaltata dalla deflazione all’inflazione. Le banche centrali hanno dovuto invertire la politica monetaria da permissiva a restrittiva. Hanno rialzato i tassi di interesse e hanno smesso di acquistare titoli pubblici, rendendo più onerosi i finanziamenti in debito. Tutto ciò in presenza della necessità di maggiori interventi pubblici per contenere i danni della crisi finanziaria e della sempre più evidente crisi ambientale.


Questa è una sintesi del malessere che ha destabilizzato gli equilibri economici, sociali e politici del mondo. In presenza di una situazione così grave, è impressionante (ecco il secondo aggettivo dominante) constatare con quanta superficialità sia stata affrontata. È soprattutto impressionante la serie dei ritardi accumulati in presenza di campanelli di allarme che suonano da tempo.

Ritardo nell’abbandonare la cultura dell’emergenza, nella quale in Italia primeggiamo. Ritardo nel cogliere i segnali premonitori della crisi ambientale. Ritardo nell’affrontare i nodi della crisi energetica. Per limitarci ai più eclatanti. Senza inutile sfoggio di pessimismo, atteggiamento che non mi appartiene, la spiegazione di fondo va trovata nei due gravi squilibri che caratterizzano la nostra epoca. 


Il primo è lo squilibrio tra la presenza di tecnologie globalizzanti, che annullano i confini geografici, e l’assenza di strumenti di gestione globale dei fattori di crisi, frutto di diversità socio-culturali difficili da abbattere. I governi nazionali sono impotenti e le possibilità di governo sovranazionale del mondo appaiono utopistiche. L’esempio evidente è l’Onu, incapace di interventi risolutivi. 


Il secondo è il contrasto tra la necessità di adottare strategie di contenimento dei consumi e la concreta disponibilità a fare sacrifici. Giocano a sfavore il tenore di vita acquisito da tempo e la debolezza dei governi a imporre restrizioni. L’esempio evidente è il risparmio del consumo di gas che, adottato in tempo, avrebbe consentito di ottenere obiettivi molteplici. La minore domanda avrebbe ridotto da subito il finanziamento della guerra russa all’Ucraina, a vantaggio della pace. Avrebbe attenuato le pressioni speculative sul prezzo del gas, a vantaggio della lotta all’inflazione. Non ultimo avrebbe avviato l’adeguamento più volte auspicato a un tenore di vita più consono al rispetto dei vincoli ambientali. Nonostante questi evidenti vantaggi, si sono accumulati ritardi nell’avviare una campagna seria sui risparmi energetici. Paghiamo duramente la fragilità istituzionale della mancanza di stabilità politica. A livello europeo, pesano i ritardi nel completamento l’integrazione politica, che porti a decisioni sovranazionali condivise. A livello italiano, paghiamo la miopia della nostra classe politica, tra l’altro sulla mancata riforma della legge elettorale in grado di consentire governi e legislature durevoli. In presenza di campagne elettorali frequenti, la terapia prevalente continua ad essere quella di alleviare i costi delle crisi con lo strumento dei sussidi che porta alla continua richiesta di sforamenti nel bilancio pubblico, aggravando il peso del debito e l’onere sulle future generazioni.


La conclusione appare scontata, anche se non facile da realizzare. Dobbiamo essere consapevoli che la nuova realtà richiede a tutti di fare meglio, per il futuro, anziché preoccuparci solo di stare meglio, per l’oggi. Pertanto abbiamo sempre più bisogno di politici lungimiranti che sappiano evitare in anticipo le crisi, anziché limitarsi a offrire soluzioni per attenuarne i danni.

* Professore emerito di Politica economica Facoltà di Economia “Giorgio Fuà” Università Politecnica delle Marche

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