La ripresa dell’economia (Istat) e i nodi strutturali da sciogliere

La ripresa dell’economia (Istat) e i nodi strutturali da sciogliere

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 2 Febbraio 2022, 10:25

Lunedì scorso l’Istat ha reso note le stime preliminari relativo al Pil 2021 la cui crescita rispetto al 2020 si attesterebbe al +6,5%. Bisogna tornare al 1976 per trovare un tasso superiore (+6,6%). La ripresa è stata molto sostenuta soprattutto nel secondo e nel terzo trimestre dell’anno mentre negli ultimi mesi si è registrato un progressivo rallentamento. A spiegare il rallentamento dell’ultimo trimestre concorrono sia la reintroduzione di alcune misure restrittive indotte dalla recrudescenza della pandemia sia i problemi di reperimento e di costo di materie prime e beni intermedi. Le previsioni di crescita per i prossimi anni si mantengono positive ma in progressivo rallentamento. Secondo l’ultimo bollettino economico della Banca d’Italia la crescita del Pil nell’anno appena iniziato sarebbe del 3,8%. I valori diminuiscono ulteriormente negli anni seguenti con stime del 2,5% per il 2023 e dell’1,7% per il 2024. Le aspettative a breve delle imprese continuano ad essere positive sul fronte degli ordini e delle vendite mentre gli elementi di incertezza del quadro macroeconomico si riflettono soprattutto sulla dinamica degli investimenti. Secondo l’indagine di Banca d’Italia gli investimenti delle imprese continueranno ad aumentare nel 2022 ma le condizioni per investire sono giudicate in peggioramento rispetto allo scorso trimestre. Le previsioni di crescita per i prossimi anni sono giustificate anche dagli eccezionali interventi di finanza pubblica previsti nel Pnrr e resi possibili dall’utilizzo dei fondi del Next Generation EU. L’intervento pubblico avrà un impatto ancora maggiore sul PIL delle Marche, che disporranno di un accresciuto ammontare di risorse dai fondi della coesione territoriale Ue (a motivo della retrocessione a regione in transizione) e dei fondi per la ricostruzione post terremoto. Queste prospettive di crescita e di abbondanza di risorse pubbliche per i prossimi anni non debbono farci dimenticare che il nostro paese viene da oltre un ventennio di crescita inferiore alle media Ue e tra le più basse a livello mondiale. Le Marche hanno iniziato a mostrare segnali di difficoltà in tempi più ravvicinati rispetto alla media italiana ma con una maggiore intensità nell’ultimo decennio.

Per la regione e per l’Italia rimane l’imperativo di agire con decisione su diversi nodi strutturali. Per rimanere nell’ambito del sistema produttivo occorre approfittare della favorevole situazione dei prossimi anni per accelerare i processi di diversificazione verso attività a più alto valore aggiunto e per elevare la capacità innovativa delle imprese, soprattutto nell’innovazione di prodotto. Le nostre imprese sono da sempre all’avanguardia nelle innovazioni di processo (siamo fra i primi in Europa nell’utilizzo di robot industriali) ma molto meno nella capacità di diversificare le produzioni; in sostanza facciamo sempre le stesse cose seppure migliorate e a più basso costo. Occorre approfittare di questi anni di crescita e di maggiori risorse finanziarie pubbliche per accelerare nel cambiamento piuttosto che assecondare la sopravvivenza dell’esistente. Già nella programmazione dei fondi strutturali 2014-2020 la Ue aveva chiesto alle regioni di utilizzare i fondi destinati alla ricerca e all’innovazione per orientare la trasformazione del sistema produttivo, attraverso la strategia di specializzazione intelligente. Gran parte delle regioni ha disatteso questa indicazione preferendo mantenere inalterate le politiche di allocazione utilizzate nei periodi precedenti. La tentazione di assecondare la ripresa piuttosto che investire nel cambiamento è forte ma rischia di farci trovare di nuovo impreparati quando terminerà la spinta espansiva. Vale per le imprese, che debbono puntare con maggiore decisione alla ricerca e all’innovazione, e vale a maggior ragione per l’intervento pubblico, che ha tempi di implementazione più lenti e che dovrebbe guardare ad orizzonti di più lungo periodo. Mentre molto si discute dell’entità delle risorse disponibili, poco si discute della direzione che si vuole imprimere al sistema produttivo con queste risorse; una direzione che dovrà essere necessariamente diversa da quella fin qui percorsa.

*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coordinatore Fondazione Merloni

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