Le bandiere della pace e quella dell'Ucraina

Le due guerre da fermare: in Ucraina e dentro di noi

di Don Aldo Buonaiuto
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Domenica 27 Febbraio 2022, 09:13

«Gesù ci ha insegnato che alla insensatezza diabolica della violenza, si risponde con le armi di Dio, con la preghiera e il digiuno… Invito tutti a fare il prossimo 2 marzo, Mercoledì delle Ceneri, una giornata di digiuno per la pace. Incoraggio in modo speciale i credenti perché in quel giorno si dedichino intensamente alla preghiera e al digiuno. La Regina della Pace preservi il mondo dalla follia della guerra».

A qualche giorno dall’inizio della Quaresima, facciamo nostre le parole che il Papa ha pronunciato nell’udienza generale, poco prima che l’esercito russo sferrasse l’attacco all’Ucraina. I vescovi del Mare Nostrum, riunitisi per l’Incontro “Mediterraneo frontiera di pace”, si sono fatti portavoce del desiderio dell’intera umanità affinché tacciano le armi.

«Le drammatiche immagini delle azioni militari in Ucraina - hanno affermato i presuli - provocano dolore e scuotono le coscienze. Nel condannare fermamente la scellerata decisione di ricorrere alle armi, esprimiamo vicinanza al popolo ucraino e alle comunità cristiane del Paese. Ogni conflitto porta con sé morte e distruzione, lacera il tessuto sociale e minaccia la convivenza tra le nazioni. La memoria di quanto accaduto nel Vecchio Continente nel secolo scorso deve indurci a rinnegare ogni discorso di odio e ogni riferimento alla violenza, spronandoci invece a coltivare relazioni di amicizia e propositi di pace».

Ci sono due guerre da fermare: quella nel cuore dell’Europa e quella nell’animo umano. Quanto sta avvenendo in Ucraina è alimentato, come tutti i focolai evocati da Papa Francesco, dal business planetario degli armamenti, unica industria a non conoscere mai né crisi né ristrutturazioni. I ragazzi ci chiedono conto di questa follia che precipita l’umanità nei meandri più oscuri della propria storia.

Le trincee scavate nella steppa orientale richiamano tragicamente le linee del fronte nelle quali anche il nonno di Jorge Mario Bergoglio, come milioni europei, affrontò l’orrore del conflitto mondiale. Un secolo fa Benedetto XV lanciò un grido disperato per «l’inutile strage», poi in anni più recenti Giovanni Paolo II condannò la deriva dell’odio e della contrapposizione mortale: «Mai più la guerra».

Tra loro, esattamente sessanta anni fa, Giovanni XXIII contribuì a sventare la crisi missilistica di Cuba e mise nero su bianco nella Pacem in Terris la totale incompatibilità tra fede e violenza.

Un caposaldo della dottrina che verrà poi immortalato negli incontri ecumenici di Assisi, dove tutti gli ultimi Pontefici hanno stigmatizzato l’uso strumentale della religione come pretesto per lotte sanguinarie di potere. Fino alla sofferenza espressa dal Santo Padre per lo scandaloso spettacolo offerto al mondo da popoli cristiani che si scontrano in piena pandemia. Da dove nasce tanta rabbia? Come è possibile che nel 2022 ancora si affidi alla forza bruta la soluzione delle dispute geopolitiche? Non sarà che la guerra che provochiamo nel mondo è la stessa che ci tormenta nel petto?

I prepotenti del pianeta affidano alle armi la risoluzione di controversie ammantate di false radici culturali, identitarie e persino religiose. Il vero potere è servizio agli ultimi, l’autentica forza interiore risiede nel dialogo. Chi alza la voce non è davvero sicuro delle proprie ragioni. Noi adulti non possiamo cavarcela scaricando le responsabilità sui decisori o illudendoci che la questione non riguardi la nostra quotidianità. Un celebre scrittore esortava a non chiedersi mai per chi suona la campana, perché suona sempre per tutti noi. C’è un’unica arma che non potrà mai essere sconfitta: la forza della spiritualità che si esprime nella preghiera, nel digiuno, nella meditazione condivisa.

Per essere credibili testimoni di pace, smettiamo di tirar pietre e ricordiamoci sempre che Gesù non ha avallato guerre e ha costantemente difeso il diritto ad essere perdonati. Non abbiano paura i governanti (e come loro chiunque avverta l’inadeguatezza della propria indifferenza) a fare un passo indietro, non è così che si perde la faccia. Sull’orlo di un precipizio avanzare ulteriormente è solo follia, fermarsi e cercare altre strade è segno di autentico ravvedimento.

* ​Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII

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