di Gianfranco Viesti
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Sabato 6 Novembre 2021, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 01:26

Una forte e duratura ripresa della nostra economia non può prescindere dal contributo che tutti i suoi diversi territori potranno e sapranno offrire. Per questo, sarà importante che i segnali di dinamismo siano diffusi in tutte le aree; che gli interventi del Piano di Rilancio coinvolgano tutte le regioni e tutte le città; che le amministrazioni abbiano la forza di utilizzare le risorse disponibili non solo per realizzare opere ma anche per innescare processi strategici, di profonda trasformazione. E’ in questo quadro straordinario che va collocata la discussione sui poteri per Roma.

I segnali congiunturali risentono del carattere eccezionale del periodo che stiamo attraversando. Da un lato il rimbalzo della produzione è decisamente robusto; superiore alle aspettative; progressivamente esteso anche ai settori dei servizi più duramente colpiti. Dall’altro le tendenze del mercato del lavoro sono ancora modeste sia nelle quantità, sia nella qualità dell’occupazione, che cresce quasi solo nella componente dipendente a termine. Per quanto è possibile leggere dai dati disponibili, e con la dovuta cautela, questa ripresa sembra interessare tutte le aree del paese. Segnali interessanti vengono anche dai territori del Centro Italia, caratterizzati in passato – come a lungo documentato da questo giornale – da dinamiche in parte preoccupanti. 

È buono l’andamento delle esportazioni e sembra confortante anche la ripresa dell’offerta sul mercato interno. Nulla ci dicono però sui prossimi anni: andranno seguiti con la massima attenzione.

Molto dipenderà dagli investimenti del Piano di Rilancio: tanto per il loro immediato stimolo alla domanda (si pensi all’edilizia e a tutti gli acquisti di beni e servizi che essa determina) quanto soprattutto per la capacità di trasformare progressivamente i luoghi nei quali viviamo: accrescerne la qualità per gli abitanti e per le imprese. Il Piano si muove lungo linee rigidamente settoriali. Non “incontra” i territori se non nella generale previsione – da verificare in concreto - di destinare il 40% delle risorse al Mezzogiorno. È dunque essenziale monitorare la progressiva allocazione delle risorse nelle grandi circoscrizioni del paese e al loro interno. Le ultime settimane sono state caratterizzate da una pluralità di provvedimenti attuativi; soprattutto, ma non solo, del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili. Si comincia a delineare un quadro anche geografico.

Da questo punto di vista desta qualche preoccupazione un recente documento dell’Associazione Nazionale dei Costruttori (Ance) che documenta come dei 55,7 miliardi dei quali era già definita la ricaduta territoriale a fine settembre, solo 8,2 fossero destinati alle regioni del Centro (il 15%). Nella recentissima ripartizione dei 2,2 miliardi per nuovi interventi nella mobilità urbana nelle maggiori città, non inclusi nei dati precedenti, vi sono solo 3 interventi nelle città del Centro Italia (fra cui i 120 milioni destinati al tram Termini-Vaticano-Aurelio a Roma), per un ammontare di poco superiore al 12% del totale.

Alla Ferrovia Centrale Umbra sono stati destinati invece 163 degli 836 milioni per le ferrovie regionali. Naturalmente non ha senso pretendere che interventi assai diversi nella propria natura come quelli del Piano siano sempre equilibrati non solo fra circoscrizioni ma anche per regioni e città. Ma non bisogna perdere di vista lo sguardo d’insieme: soprattutto perché le decisioni di allocazione sono affidate separatamente a diversi Ministeri e, in molti casi, agli incerti esiti di bandi competitivi; e lo strumento finora predisposto dal Governo per consentire di monitorare il Piano al momento non è di alcuna utilità. Occorre acquisire i dati e valutarli prima che tutte le decisioni siano prese.

Le sfide del Piano sono molteplici: non solo quella, ben chiara a tutti, di spendere in tempo. Ma anche e soprattutto quella di evitare di privilegiare alcuni progetti solo perché erano già pronti nei cassetti o di concentrare le risorse a vantaggio di alcuni territori solo perché maggiormente capaci di affrontare i bandi. Ancora, quella di evitare di realizzare opere senza aver chiaro quali e quanti servizi, e gestiti da chi e con quali risorse, ne scaturiranno. Su tutti questi fronti le preoccupazioni sono, al momento, ampiamente giustificate. E’ necessaria un’attenzione molto maggiore rispetto a quella prestata finora, alle capacità progettuali, attuative e gestionali delle amministrazioni coinvolte: in primo e principale luogo, di quelle comunali. 

Sono tutti questi elementi, insieme naturalmente all’avvio della nuova consiliatura, che concorrono a giustificare l’urgenza di una soluzione la più rapida possibile della grande questione dei poteri per la città di Roma. Tema lì da tempo. Ma oggi di assoluta priorità. Idealmente, la ridefinizione degli assetti dei poteri e delle capacità della Capitale avrebbe dovuto precedere l’avvio del Piano. Se per le straordinarie congiunture che stiamo vivendo questo si è rivelato impossibile, non ci si può certo rassegnare ad attendere che ciò prima o poi accada. Rilancio non è solo spesa, fatta da chiunque, purché si realizzi. Il governo strategico del Piano nei prossimi cinque anni, le scelte di investimento, la loro attuazione e integrazione territoriale, la coerente gestione delle risorse correnti e l’organizzazione dei servizi in quella realtà unica nel panorama italiano rappresentata da Roma, richiedono un governo dotato di poteri, responsabilità, risorse all’altezza. 
 

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