di Carlo Nordio
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Venerdì 13 Novembre 2020, 00:10

Una delle principali differenze tra morale e diritto risiede in ciò: che la prima detta precetti che si rivolgono alle coscienze e la loro violazione è punita dal rimorso o dalla riprovazione sociale; il secondo impone delle regole cogenti la cui violazione è sanzionata dalla legge. Spesso, ma non sempre, morale e diritto coincidono: rubare, uccidere, testimoniare il falso, sono atti riprovevoli per l’etica, peccaminosi per la religione, e criminali per il codice. Altre volte questa coincidenza viene meno: bestemmiare, o commettere adulterio, è moralmente biasimevole, ma insignificante per il giudice. Le norme giuridiche infatti ubbidiscono essenzialmente a una valutazione politica di utilità sociale: quelle etiche – o religiose – a questioni, come appunto diceva Croce, di coscienza.

Quando un ordinamento dimentica queste differenze e ne confonde i criteri valutativi, i guai sono seri. Nel caso più grave mira a realizzare il cosiddetto stato etico – teorizzato da Hegel – che si trasforma inevitabilmente in invasività autoritaria e spesso in dittatura. Nei casi più lievi esso produce quantomeno una perniciosa confusione, e la certezza del diritto va a farsi benedire. 

L’esempio più significativo di questa confusione si è avuto, e purtroppo si ripete, in occasione di questa pandemia, e si è articolato in due momenti. 

Il primo è stato quello della genericità delle disposizioni. Prendiamo l’infelice episodio della limitazione delle frequentazioni ai “prossimi congiunti”. Questa definizione ha un connotato sentimentale, ma per un giurista non significa nulla, e quindi è inapplicabile. Il diritto infatti conosce i parenti e gli affini, classificati secondo una scala graduale, mentre la formulazione del Dpcm lasciava spazio alle più arbitrarie interpretazioni. Un altro esempio era la consentita passeggiata “di prossimità”. Altro concetto vago e intuitivo, di impossibile applicazione sanzionatoria. E infatti entrambe queste soluzioni sono state, per fortuna, abbandonate.
Il secondo elemento di confusione è anche più grave.

Esso risiede nelle cosiddette raccomandazioni. Per circospetta prudenza, il governo non ha voluto vietare alcuni comportamenti, ma si è limitato a sconsigliarli caldamente.

Ora, nessuno nega che il Presidente del Consiglio abbia la facoltà, e anche il dovere, di rivolgersi ai cittadini con saggi consigli, beneauguranti auspici e avvertimenti severi. Ma questo è magistero di disciplina penitenziale o di impegno civile, senza alcuna conseguenza sul diritto positivo. Quest’ultimo, come si è detto, conosce soltanto regole cogenti e sanzioni tassative. Inserire in un provvedimento normativo un concetto così spurio come la raccomandazione non è solo inutile ma dannoso, perché nel momento in cui si appella alla sensibilità dei cittadini dimostra una rassegnata sfiducia nella funzione della legge.


Ora si stanno avvicinando le feste di Natale, e la pandemia ne altererà le consuetudini e forse la stessa gioiosa natura. Non sappiamo come il contagio si svilupperà, ma chi è gravato della responsabilità di governo non può manifestare velleità in anticipo e adottare decisioni in ritardo, come è avvenuto negli ultimi mesi. E men che mai può ricorrere, nelle sue ordinanze, ai surrogati delle prediche, delle suppliche e delle raccomandazioni. I cittadini non hanno bisogno di suggestioni enfatiche, ma di regole chiare, non affidate all’interpretazione divinatoria degli organi periferici o delle forze dell’ordine. E soprattutto hanno bisogno di regole vincolanti, assistite da sanzioni equilibrate ma di certa e immediata applicazione.

Perché è vero che – come insegnava Goethe – il miglior governo è quello che ci insegna a governarci da noi stessi. Ma è altrettanto vero che nei momenti di emergenza alla responsabilità individuale dev’essere associata la presenza della legge, munita non tanto di autorevolezza morale quanto di autorità coercitiva. Questo ritorno all’ordine non sarebbe, crediamo, percepito dai cittadini come un eccesso di potere. Al contrario. Se fosse assistito da un convincente programma di assistenza e di ripresa, potrebbe evitare il rischio più grande che si sta profilando nella nostra società: il timore che un possibile danno alla salute si trasformi nell’ossessione di un una tragedia inevitabile per la nostra economia. 
 

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