«Ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini», spiega Paolo ai Corinzi annunciando Cristo crocifisso. Ancora una volta Papa Francesco, in questa Santa Pasqua carica di timori e speranze, ha dimostrato di seguire la logica divina della misericordia invece di quella mondana di presunte opportunità. Non ha presieduto in mondovisione la Messa in Coena Domini nella Basilica Vaticana in apertura del Triduo pasquale. Ha celebrato l’Eucarestia nell’appartamento del confratello vescovo allontanato dagli incarichi di Curia con un gesto senza precedenti. È andato a trovarlo per un atto di amore che ha scandalizzato i moderni farisei sempre pronti ad anteporre la forma al contenuto e a misurare le intenzioni del cuore con il metro del calcolo. In realtà il Papa ha seguito l’esempio del Maestro che si è consegnato per la salvezza dell’umanità. In un tweet ha scritto: «Nella croce Dio regna solo con la forza disarmata e disarmante dell’amore. Dio stupisce la nostra mente e il nostro cuore. Lasciamo che questo stupore ci pervada, guardiamo il Crocifisso e diciamo: ‘Tu sei davvero il Figlio di Dio’. Tu sei il mio Dio». L’intera vita di Gesù è un consegnarsi, un donarsi. Dalla nascita all’arresto nel giardino del Getsemani. Dal vicendevole affidamento della Madre a Giovanni alla deposizione nelle mani di Giuseppe di Arimatea. E la Pasqua è dono di sé per l’ “espiazione”, parola oggi desueta anche tra i credenti, eppure valore fondante della rinascita pasquale. Espiando sul Golgota Cristo testimonia l’amore più grande: pagare con il proprio sangue al posto dell’altro. È il modello eroico delle virtù cristiane, la sorgente da cui sgorga limpido, in ogni epoca, il martirio dei discepoli del Risorto. Attraverso l’espiazione la croce smette di essere simbolo di ignominia, vergogna e debolezza da nascondere. Per diventare il legno verde, rigoglio di speranza che conferisce alla Pasqua il carattere di evento-cardine della Rivelazione. Da lì discende il mandato evangelico di mettere al centro gli ultimi, i piccoli, gli emarginati. È il magistero della profezia che consente di guardare ai nostri fratelli e alle nostre sorelle senza cataratte storiche o ideologiche che riducono la vista. «In tante situazioni di sofferenza specialmente quando a patirle sono persone, famiglie e popolazioni già provate da povertà, calamità o conflitti – ha affermato il Pontefice durante l’ultima udienza generale dedicata a una meditazione sulla passione, morte e risurrezione del Signore – la Croce di Cristo è come un faro che indica il porto alle navi ancora al largo nel mare in tempesta».
*Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII