Ricordi di Dante Ferretti sul set. L’impazienza di giocare ancora

Ricordi di Dante Ferretti sul set. L’impazienza di giocare ancora

di Giovanni Guidi Buffarini
4 Minuti di Lettura
Venerdì 9 Giugno 2023, 02:40

Da sabato 17 e fino al 24 si svolgerà l’edizione numero 59 della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, festival di prestigio mondiale, uno degli appuntamenti che il cinefilo è chiamato a non mancare. Il programma è stato riassunto sul Corriere di mercoledì, per i dettagli si rimanda al sito. Confido sia all’altezza della tradizione del festival, e in linea con la sua missione, accendere una luce su cinematografie periferiche e su giovani autori di talento. Si va a Pesaro per questo, scoprire cose. Anche se inevitabilmente i titoli dei giornali si concentrano sugli eventi, la festosa serata “Flashdance” giusto in apertura, la retrospettiva Tornatore, l’arrivo di Verdone per la proiezione di “Borotalco”.

E l’incontro con l’eccelso scenografo Dante Ferretti (e proiezione dello scorsesiano “Hugo Cabret”). Che fra gli eventi speciali mi pare il più speciale, e significativo. Per una ragione semplice. La storia del cinema, come la raccontiamo oggi, è la storia dei registi. Loro vengono celebrati, e tutti gli altri quasi sempre restano nell’ombra (con l’eccezione degli attori divi). Come se il cinema fosse arte solitaria e non collettiva. Mentre indiscutibilmente: «Il film appartiene a tutti quelli che ci lavorano», parola di Sidney Lumet. La creatività del regista si nutre della creatività dei suoi collaboratori. Si espande grazie alla creatività dei collaboratori. E fra i collaboratori del regista lo scenografo è uno dei più decisivi: è lo scenografo che inventa gli spazi in cui installare il racconto. In 60 anni di smagliante carriera, Dante Ferretti, spesso assieme alla moglie Francesca Lo Schiavo, ha condiviso il suo genio con alcuni dei maggiori cineasti.

Tre sopra tutti. Pasolini, che prima d’ogni altro gli diede fiducia e da cui apprese l’arte dell’essenzialità, via tutto il superfluo. Fellini, con cui fece tutti i film da “Prova d’orchestra” in poi, tranne “Intervista”, essendosi già impegnato con Terry Gilliam per “Le avventure del barone di Munchausen”, Fellini che di Pasolini era l’opposto: fantasia sfrenata, meglio «dilatata».

E Martin Scorsese: una partnership che dura da 30 anni. Che riusciate o no ad andare all’incontro pesarese, date un’occhiata a un libro e a un film. Il libro è “Immaginare prima - Le mie due nascite, il cinema, gli Oscar” (Jimenez Edizioni), frutto di conversazioni con David Miliozzi, maceratese come Ferretti. Un testo che lo inizi e non puoi smettere, autoritratto frastagliato, memoir che spalanca porte sul processo creativo, ci sono anche le riproduzioni di alcuni bozzetti. Il film è il documentario “Dante Ferretti: Scenografo italiano” realizzato da Gianfranco Giagni nel 2010. Lo trovate su Mubi, se non siete abbonati la piattaforma offre una settimana di prova gratuita. Un doc che si vorrebbe ben più lungo - dura un’ora scarsa - e che contiene la più bella definizione che conosca dell’artista: «Ferretti si diverte come un bambino coi giochi», parola di Liliana Cavani. E lo stupore di Scorsese nel vedere ricreata a Cinecittà la New York della sua infanzia, non - attenzione, è il punto decisivo - pedissequamente ricalcata.

«Quando devo fare un film d’epoca», dice Ferretti, «non voglio riprodurre le cose di quel periodo. Voglio immergermi in quel periodo per entrare nella testa di un uomo di quel periodo e fare le mie cose come le avrebbe fatte lui»: ciò che fa la differenza fra un artista e chi artista non è. Un ricordo personale. Intervistai Ferretti nel febbraio 2020, stava per andare in America per “Killers of the Flower Moon”, il nuovo Scorsese che la pandemia ha ritardato, pochi giorni fa è stato applaudito a Cannes. Su quel film avrei dovuto interrogarlo. «Mi dispiace, non posso dirle nulla. Abbiamo tutti firmato la clausola di riservatezza». Il pezzo dovevo comunque portarlo a casa. Lo sollecitai dunque a tornare sui precedenti set condivisi con l’amico americano. Venne fuori una bella intervista. Non per merito mio, sia chiaro, ma di quel bambino prossimo agli 80 che non si stancava di rievocare i vecchi film, i vecchi giochi, e quanto si fosse divertito a creare meraviglie come la stazione di “Hugo Cabret” traspariva chiaro già dal tono della voce. Con l’impazienza di giocare ancora.

*Opinionista
e critico cinematografico

© RIPRODUZIONE RISERVATA