Come uscire insieme da una prova così dura

Come uscire insieme da una prova così dura

di Don Aldo Buonaiuto
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Domenica 22 Marzo 2020, 07:15
Francesco, il Papa di strada che durante il default argentino divenne l’unico portavoce di una Nazione allo sbando, si ritrova oggi a raccogliere le energie morali e spirituali del Paese bimillenario di cui è il Primate. Qualche giorno fa lo abbiamo visto pregare la Salus Populi Romani, invocando la liberazione dalla pestilenza. È un gesto fortissimo che richiama alla memoria collettiva la preghiera dei Vicari di Cristo nei periodi più dolorosi della vita comunitaria del popolo di Dio. Gli anziani ricordano ancora la veste bianca macchiata di sangue di Pio XII in visita al quartiere romano di San Lorenzo pochi istanti dopo il bombardamento. In tempi più recenti, fu la veste bianca di Benedetto XVI a Onna, dopo il terremoto in Abruzzo, a sporcarsi di fango per portare una parola di conforto alla popolazione sopravvissuta al devastante sisma. Il villaggio globale è stato colpito al cuore dal Coronavirus: nulla sarà più come prima, nel mondo e anche nella Chiesa. La globalizzazione dell’indifferenza ha reso più fragili e vulnerabili gli Stati, trasformati in semplici destinatari delle politiche commerciali di multinazionali invisibili. Come la Chiesa, pur con ritardi e defezioni, ha saputo sburocratizzarsi, scendere dai piedistalli e avvicinarsi alle periferie geografiche ed esistenziali, così in ambito civile è necessario un sussulto di consapevolezza che consenta di accelerare i tempi nella fornitura di respiratori e macchinari salvavita, alle attuali trincee di questa nuova guerra asimmetrica, che non può essere combattuta senza dotazioni adeguate. I cappellani e le suore impegnati in prima linea a supporto di medici e infermieri sono l’emblema di una “resistenza 2.0”. Il cambiamento deve iniziare dentro di noi, a partire da una pratica meno formalistica e più sostanziale della fede, riscoprendo Dio attraverso la preghiera, le opere penitenziali della Quaresima, la lectio divina e la conversione sincera. Viene in mente la rappresentazione biblica del diluvio universale, dal quale l’umanità non è uscita finché una colomba (immagine dello Spirito divino) non fece ritorno sull’arca di Noè con un ramoscello verde nel becco. Quel ramoscello per noi deve essere il segno di società che finalmente riscopra la bellezza dei rapporti familiari, la ricchezza delle nostre fondamenta storiche e spirituali e un senso di unità che ci faccia uscire dalla virtualità di false relazioni interpersonali. La traversata del deserto alla quale il nostro popolo è costretto deve diventare un’opportunità per ricostruire, su basi sane e integerrime, un contesto pubblico troppo a lungo avvelenato da iniquità, volontà di sopraffazione dell’altro e chiusura a ogni forma di dialogo. San Tommaso esortava a rintracciare in ogni opera malvagia (scaturita dall’azione del demonio nella quotidianità) un punto da cui ripartire alla conquista del bene. Adesso non abbiamo più alibi, serve una rinascita che si riprenda pieno possesso di radici colpevolmente abbandonate. È sbagliato ravvisare nella tragedia attuale un castigo divino, però cerchiamo di capire cosa ci sta dicendo il Creatore attraverso questa prova così dura. Se ci illudiamo di uscirne senza il Suo aiuto, ci condanniamo alla mediocrità che ha contribuito a precipitarci in una situazione nella quale ancora non si intravede una luce in fondo al tunnel. Belli i flash mob canori dai balconi, ma importanti, per noi cristiani, anche i momenti in cui ci ritroviamo, ognuno a casa propria, a invocare Dio e i santi, dimostrando di continuare a essere sempre un “popolo in cammino”. Come la recita dell’Ave Maria, tutte le sere alle 19.30, appuntamento nato su mia iniziativa a seguito delle proposte spontanee di tanti fedeli che mi chiedevano di dedicare un tempo della giornata alla preghiera insieme. Un’occasione per sentirci più uniti a chi sta piangendo i propri morti, a quanti combattono, spesso a mani nude, contro un mostro invisibile e a coloro che cercano un significato alla loro esistenza ora che l’incolumità è in pericolo. Dio vuole per i suoi figli la vita, non la morte, ma come ci insegna la Sacra Scrittura, richiede la nostra partecipazione al suo piano salvifico.

*Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII

 
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