Vincenti e perdenti nella grande trasformazione ormai alle porte

Vincenti e perdenti nella grande trasformazione ormai alle porte

di Rossano Buccioni
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Martedì 28 Aprile 2020, 11:05
Nella letteratura e nell’arte il contagio spesso prevede una metamorfosi: dal dr. Jekyll che si muta in mr. Hyde, sino ai fenomeni del vampirismo, il fenomeno si lega ad una dialettica inquietante tra normalità e deviazione, tra simbolico e diabolico. Il contagio si lega alla metamorfosi da intendersi anche come punizione (siamo costretti a stare in casa, confrontati con un tempo liberato da competenze sociali che ci identificano, ma solo se fondate sull’onere della prova), ma anche come degradazione (nell’Odissea, la maga Circe trasforma l’equipaggio di Ulisse in un branco di maiali). Lo sguardo sulla nostra realtà si sottrae a stento da quello che potremmo chiamare “effetto Gregor Samsa”, celebre personaggio kafkiano, che nel suo svelarsi insetto, oltre al carattere inaudito della crudele trasformazione, mostra la tragedia cui, l’impossibile opposizione, conferisce il senso di inesorabile compimento. Kafka fa emergere il venir meno di ogni punto di riferimento, specialmente quando una crisi smentisce la presunta incontestabilità del relazionamento tra struttura sociale e vita, tra bios e logos. Come i personaggi di Kafka, ci sentiamo immersi in un mondo di cui sentiamo esplodere in noi le precedenti contraddizioni, dove la non comprensione della realtà va di pari passo con la forzata accettazione di uno svuotamento del senso. Essendo “fatti sociali totali”, i disastri costituiscono un oggetto di ricerca complesso per la sociologia, perché investono tutti i mondi vitali (dalla salute alla scuola, dall’economia, alla politica, dai diritti umani alla comunicazione). Il demografo Alessandro Rosina ha sintetizzato una tesi che accomuna molti osservatori e cioè che dopo un lungo preambolo, durato due decenni, la fase post Covid-19 finalmente ci farà entrare nel XXI secolo, perché dentro la struttura sociale sarà archiviata quella costellazione di deterrenze che continuava a legare questioni cruciali all’immaginario sociale del secolo breve. Il balzo significherà andare molto oltre i limiti del modello socio-economico del ‘900, con gli acceleratori di questa mutazione che, grazie alla crisi in corso, hanno ricevuto improvvisa quanto incondizionata legittimazione. Si sostiene da più parti che il modo di studiare, lavorare, spostarsi e costruire vita sociale subiranno presto un salto di qualità: un vecchio ordine è stato sconfitto, ma il nuovo ancora recalcitra a rivendicare ciò che è già suo. Il sociologo Ulrich Beck aveva a lungo lavorato alla distinzione tra “cambiamento” e “metamorfosi”. Se nel cambiamento oscilla rapidamente ed evolve uno specifico carattere della struttura sociale (con gli altri caratteri che rimangono invariati), nella metamorfosi tutte le certezze sociali appaiono sradicate. La metamorfosi mette in gioco l’intero essere del mondo; ciò che era inconcepibile accade all’improvviso, globalmente e contemporaneamente. La tesi di Beck ci consente di guardare in modo lucido, al di fuori dello stato di shock in cui ci troviamo, una realtà sociale sempre più difficile da comprendere dato che quanto più la modernizzazione procede e si afferma nel mondo, tanto più le sue conseguenze inattese sconvolgono i nostri pre-requisiti osservativi. Infatti la teoria della metamorfosi va oltre la teoria della società del rischio e “non riguarda gli effetti collaterali negativi dei beni, ma gli effetti collaterali positivi dei mali”. Sul piano del sistema sociale si stabilizzeranno le variazioni determinatesi in base alla necessità di integrare importanti novità con caratteristiche strutturali già date. Invece al livello delle interazioni umane, i grandi cambiamenti attiveranno le risorse di un potente meccanismo di variazione: il linguaggio. Cercheremo di mettere a fuoco la metamorfosi in atto attraverso tre costrutti sintattici: “mascherina”, “gesto” e didattica a distanza. Prima che il Coronavirus si diffondesse, in Italia la mascherina connotava ambienti di lavoro insani ed in ambito medico, dichiarava l’asepsi della sala operatoria. L’idea di un utilizzo non professionale delle mascherine era legata alla consuetudine di indossarle da parte dei turisti provenienti dall’Oriente, che non volevano trasmettere i propri germi agli altri. Adesso la mascherina realizza in pieno il senso di una reciprocità evitante che esprime pur sempre un presupposto culturale di reciproco riconoscimento, ma per rovesciarlo immediatamente nell’evitamento di probabili conseguenze negative relative al contatto come triviale correlato della presenza. Riconoscere l’altro significa entrare in una reciproco evitamento, costruito nell’isolamento fisico e nel rispetto di distanze di sicurezza. Lo stesso criterio si osserva nella quarantena sociale del gesto (saluto, bacio, abbraccio, ecc.). Nel gesto si incontravano la materialità del corpo e l’astrattezza del pensiero, trovando una sintesi che dava vita ad una comprensione non assimilabile al solo momento conoscitivo. La sterilizzazione razionale dei gesti è dunque l’ennesima limitazione di orizzonti espressivi legati alla sfera emozionale. Qualche mese fa, commentando i dati di uno studio inglese sull’incidenza negativa che gli strumenti informatici esercitavano sul rendimento scolastico degli adolescenti, lo psicologo della comunicazione Giuseppe Riva, docente presso l’Università Cattolica di Milano, evidenziò la capacità dei New Media di influenzare i rapporti che si vengono a creare tra azione ed intenzione, con l’apertura di sfere di azione che prevedono dilatazioni dello spazio mentale a fronte di una diminuzione del senso del luogo e dei vincoli disciplinari di apprendimento e di regolazione dei rapporti di autorità. La completa digitalizzazione della relazione educativa, sarà il vettore tecnologico della sintesi post-umana che si sta mettendo in moto.

*Sociologo della devianza e del mutamento sociale
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