Recovery plan, troppi obiettivi sono difficilmente raggiungibili

Recovery plan, troppi obiettivi sono difficilmente raggiungibili

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 23 Settembre 2020, 10:45
Nell’articolo del 9 settembre scorso avevo commentato il recovery plan francese, presentato il 3 settembre. Un piano che presenta già una chiara visione, obiettivi specifici e l’indicazione dei progetti e delle risorse per il loro raggiungimento. Lamentavo anche il fatto che il nostro paese non avesse ancora prodotto un documento simile. Sono stato subito accontentato poiché il 15 settembre il nostro governo ha presentato le linee guida per la definizione del “Piano nazionale di ripresa e resilienza”. Non si tratta quindi del piano vero e proprio ma delle indicazioni generali sugli obiettivi e sui criteri da seguire per la redazione del piano stesso. La lettura di queste linee guida invece di rassicurare sullo stato di avanzamento del piano induce a nutrire qualche dubbio sulla capacità di produrne uno efficace. Gli aspetti problematici sono tre: l’assenza di una visione dell’economia e del sistema produttivo del nostro paese, l’eccessivo numero di obiettivi e la genericità dei criteri di selezione dei progetti. I tre aspetti sono strettamente collegati poiché in assenza di una chiara visione di dove si vuole indirizzare il paese diventa impossibile stabilire delle priorità e dei criteri di selezione. Sconcerta in particolare l’elevato numero di obiettivi che il piano dovrebbe perseguire; tutti condivisibili ma sicuramente impossibili da raggiungere nel loro complesso e con scarsa probabilità di essere conseguiti anche singolarmente. Sono quattordici, ma bastano i primi quattro per dare un’idea delle ambizioni del piano: raddoppiare il tasso medio di crescita dell’economia italiana portandolo in linea con la media Ue (+1,6%); aumentare gli investimenti pubblici per portarli almeno al 3% del Pil; portare la spesa in ricerca e sviluppo al di sopra della media Ue (2,1%) rispetto all’attuale 1,3%; aumentare il tasso di occupazione di 10 punti per arrivare alla media Ue (73,2%) mentre attualmente l’Italia è al 63%. E naturalmente dal piano ci si aspetta di ridurre i divari territoriali, elevare gli indicatori di benessere e sostenibilità ambientale, aumentare la salute e l’aspettativa di vita media, abbattere l’abbandono scolastico e migliorare la preparazione degli studenti, ecc. In sintesi, nei prossimi anni, grazie alle risorse del next generation Eu dovremmo provare a risolvere tutti i problemi accumulati dal nostro paese nell’ultimo trentennio. Sarebbe il modo peggiore di procedere, disperdendo le risorse in una quantità di obiettivi difficilmente raggiungibili nei tempi e con le risorse a disposizione. Occorrerebbe, al contrario, individuare poche priorità ritenute strategiche e su di esse concentrare le risorse. Nel caso francese la priorità è chiaramente individuata nella competitività del sistema produttivo, giustamente considerato come leva per recuperare risorse da investire negli altri settori dell’economia e della società. Nel piano italiano di produttività e competitività del sistema produttivo poco o nulla si dice mentre molto si parla di investimenti pubblici. E’ un paradosso dal momento che l’Italia dovrebbe porre particolare attenzione al tema della produttività e della crescita. L’euforia per la spesa delle risorse messe a disposizione dall’Ue sembra farci dimenticare che l’Italia uscirà dall’attuazione del piano con un quadro di finanza pubblica quanto mai problematico. La gran parte delle risorse a disposizione è sotto forma di prestiti; che andranno a gravare su una situazione del debito pubblico già problematica prima della pandemia e ulteriormente peggiorata negli ultimi mesi. La sostenibilità del debito dovrebbe essere una delle prime preoccupazioni, per non ritrovarsi fra qualche anno in una situazione di totale rigidità del bilancio pubblico. Per questo occorrerebbe premere l’acceleratore soprattutto sulla crescita del Pil e, di conseguenza, sulla crescita della produttività; scegliendo accuratamente gli ambiti settoriali in cui investire e i progetti maggiormente in grado di assicurare questo obiettivo. C’è da augurarsi che queste linee guida non siano le premesse del piano che si andrà a disegnare ma siano solo un modo per prendere tempo in attesa di un quadro politico in grado di attuare delle scelte.

*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coord. Fondazione Merloni
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