C’è anche un altro virus che deve essere battuto

C’è anche un altro virus che deve essere battuto

di Don Aldo Buonaiuto
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Domenica 17 Maggio 2020, 11:35
La giornata di preghiera, digiuno e carità per la fine della pandemia è stata una mobilitazione spirituale senza precedenti. L’importante iniziativa, realizzata giovedì scorso e promossa da quelli che Papa Francesco ha definito gli “artigiani della fraternità”, non ha beneficiato della cassa di risonanza dei media planetari, ma come accade per ogni fenomeno autenticamente rivoluzionario la risposta è arrivata dal popolo. Non solo da cristiani e musulmani, come nella dichiarazione di un anno fa, ma da chiunque ha a cuore il futuro dell’umanità. Tutti idealmente uniti, nel rispetto delle proprie differenze e peculiarità. Per riscoprirci realmente fratelli occorre riconoscere la bontà di un Padre comune. Tre parole (preghiera, digiuno e carità) sono il piano di ripartenza per un mondo che altrimenti rischia di ignorare superficialmente la tragica lezione dell’emergenza sanitaria universale. Per pregare davvero serve la consapevolezza del proprio limite e la disponibilità a invocare dal Cielo la capacità di cambiare. Nel giorno in cui milioni di persone hanno alzato gli occhi e le mani verso l’alto per implorare la liberazione dal Coronavirus il Pontefice ha affermato: «Questa pandemia è venuta come un diluvio, è venuta di colpo. Adesso ci stiamo svegliando un po’. Ma ci sono tante altre pandemie che fanno morire la gente e noi non ce ne accorgiamo, guardiamo da un’altra parte. Siamo un po’ incoscienti davanti alle tragedie che in questo momento accadono nel mondo… Che Dio abbia pietà di noi e che fermi anche le altre pandemie tanto brutte: quella della fame, quella della guerra, quella dei bambini senza educazione». Francesco aveva dedicato per intero l’intensa catechesi del mercoledì, quasi fosse un semplice insegnante di religione, a una straordinaria e commovente illustrazione del valore individuale e collettivo della preghiera. E qui entra in gioco il secondo termine-chiave e cioè il digiuno, da intendersi non solo come astinenza dal cibo ma come apertura alla gratuità. La cultura dello scarto si collega strettamente a quella del dono, che Benedetto XVI ha profeticamente contrapposto alla diffusissima ignavia sociale che impedisce di rinunciare a un edonismo utilitaristico basato sul rifiuto di ogni rinuncia, anche quella per un bene incomparabilmente più elevato, come la salute pubblica. Chi non è pronto a sacrificarsi e disconosce il valore del sacrificio si ritrova dipendente, addirittura schiavo, di qualunque condotta compulsiva e istintuale. Ad Assisi i tre ultimi Papi, affiancati da tutti i leader religiosi mondiali, hanno tolto qualsiasi pretesto alla strumentalizzazione del nome di Dio finalizzata a giustificare violenze contro il prossimo, condotte autolesionistiche e mistificazioni di un fantomatico e mendace interesse superiore. Sacrificarsi equivale ad accogliere la grazia della conversione. Ma, come insegna San Paolo, la fede si riconosce dalle opere e la carità è l’appellativo prediletto da Dio. Il sacrificio più autentico, nella sequela di quello del Risorto, è disciplinare sé stessi per evitare di cadere nella dannosissima trappola del carrierismo, ma anche nella mormorazione, nel turpe chiacchiericcio che uccide l’altro con la lingua più che con la spada. Tenere lontani i sette vizi capitali è un provvidenziale digiuno tanto per i credenti quanto per coloro che non si riconoscono in alcuna religione rivelata. Se è vero che digiunare purifica l’organismo, auspichiamo che tale virtuosa pratica riesca a bonificare, in qualche modo, anche la vita pubblica. Gli operatori della carità sanno bene che aiutare gli ultimi è un beneficio interiore soprattutto per sé stessi. Richiamare l’attenzione generale sui fratelli più bisognosi significa proclamare la dignità di ogni creatura. Francesco ha da poco ribadito che Dio conosce per nome ogni vittima della pandemia e, citando il Libro dell’Esodo, ha evocato due eroiche e umili servitrici della vita, le levatrici Sifra e Pua. Un modo per dire che il servizio è la vera potestà. Il virus da combattere, infatti, non è solo il Covid ma anche la spasmodica ricerca di una ribalta che offre illusioni invece di soluzioni concrete.

*Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
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