Il cinema italiano dovrebbe fermarsi. Non per scioperare, come Hollywood, ma per riflettere, la pausa forzata imposta dal Covid con tutta evidenza non essendo stata usata in modo proficuo. «Cosa cavolo stiamo facendo? Vogliamo davvero andare avanti così?». Questo dovrebbero chiedersi tutti gli artefici del nostro cinema: produttori, registi, sceneggiatori, attori, nessuna categoria esclusa. Lo dico - o meglio, lo ripeto - adesso, che sul cinema italiano stanno cominciando a piovere i cospicui fondi europei, e proseguendo l’andazzo attuale rischiano di finire sprecati in prodotti destinati a essere, la gran parte, ignorati da tutti.
Lo dico - meglio, lo ripeto - adesso, dopo i sei film italiani in concorso a Venezia, e uno potrebbe pensare «allora il nostro cinema scoppia di salute», ma anche se fossero tutti belli (finora ho visto solo Garrone e mi è piaciuto con riserva, i critici stranieri lo hanno accolto meglio, e tuttavia su almeno tre titoli son piovuti schiaffoni), se anche fossero sei film di pregio non basterebbero a farmi dimenticare quel che ho visto (mentre voi lettori in gran parte avete evitato) negli ultimi due anni, e prima del virus era lo stesso. L’ultimo ad accorgersene è stato Aurelio De Laurentiis: «I film italiani sono molto brutti».
Mano (vostra, sempre) sul fuoco: la frase lapidaria verrà stigmatizzata da molti come «un ingeneroso attacco al nostro cinema». È la pura verità, invece. Punto. Quando mi tocca vedere una italica commedia, entro in sala abbacchiato e ne esco imbufalito. Quelle commedie a cui voi spettatori prima della pandemia abboccavate (a dispetto delle reiterate delusioni) e ora non più, e fate bene. Le commedie italiane: uno spunto più o meno bizzarro, tre battutine non deprecabili sparate nei primi cinque minuti, e da lì al termine una sola domanda che ti ronza nella testa: «Cosa sto guardando?», e la risposta non la trovi. I film diciamo seri? Peggio mi sento. Operine spente di veterani spompi, operine spente di giovani nati vecchi. La drammaturgia? Zoppicante. La regia? Di puro servizio. Gli attori? Sempre i soliti, spesso annoiati (mai quanto me). In compenso, puntuale ecco il Virtuoso Messaggio ribadito a stufo, manco fossimo deficienti noi in platea.
Film come prediche e delle più scontate, delle più sterili.
Giustificate i vostri flop con il declino delle sale (ma la situazione sta migliorando: non certo grazie ai vostri filmetti deprimenti). Accusate pure il pubblico d’essere assuefatto ai supereroi e agli effetti speciali (intanto un film bellissimo ma impegnativo come “Oppenheimer” sta già oltre i 23 milioni e supererà i 25, tiè). O ancora, ergetevi a paladini dell’italianità e montate polemiche assurde contro chiunque s’azzardi a raccontare le nostre storie al posto nostro, come Favino a Venezia, indignato dal “Ferrari” di Michael Mann con Adam Driver. Accampate scuse, indicate nemici. Oppure, fermatevi. Riguardate quel che avete fatto negli ultimi anni: il 90% è pigro, autoreferenziale, afasico. È da buttare, sorry. E poi spremetevi le meningi per fare un cinema tutto diverso: libero, inventivo, coraggioso. Potete riuscirci. Dovete riuscirci.
Critico cinematografico
e opinionista
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