Del resto la prevedibile richiesta di sottoporre la legge a referendum, prima che entri in vigore, rispondeva ad un interesse più vasto: avrebbe assicurato la durata della legislatura, rendendo problematico un eventuale scioglimento anticipato del Parlamento prima che fosse effettuata la consultazione popolare. Ai favorevoli ma non votanti al Senato, si potrebbe aggiungere nell’esprimere oggi un voto favorevole anche chi, come il Partito democratico, ha contrastato questo provvedimento nelle precedenti votazioni, due al Senato ed una alla Camera. Si potrebbe maliziosamente sostenere che, mutato il quadro politico, partecipare al Governo val bene aderire a questa revisione della costituzione pretesa dal Movimento 5 stelle. La giustificazione di un così radicale mutamento di opinione è offerta dalla previsione di misure correttive e di bilanciamento inserite nell’accordo di governo; anzitutto di una riforma della legge elettorale, da ricondurre al sistema proporzionale per evitare che la riduzione del numero dei parlamentari determini di fatto la eliminazione dal Parlamento della rappresentanza di significative minoranze presenti nella società. È da augurare che questa condizione, futura ed incerta, si verifichi, per evitare che la riforma costituzionale non sia temperata dalle complementari misure ritenute necessarie sin dalla sua approvazione.
Non induce all’ottimismo l’esempio della nuova disciplina che esclude la prescrizione per la estinzione del reato dopo la sentenza di primo grado, introdotta sul presupposto, rimasto non attuato, della fissazione della durata dei processi. Guardando al merito della riduzione del numero dei parlamentari, non mancheranno dichiarazioni enfatiche per sottolineare che si tratta di una riforma epocale o storica. Il frequente abuso di queste espressioni toglie ad esse ogni forza ragionevolmente persuasiva e le riconduce nell’ambito del linguaggio demagogico dominante, in un contesto che offre la riduzione dei parlamentari come simbolo della lotta alla casta e strumento di riduzione, peraltro quantitativamente irrilevante, della spesa. Le osservazioni critiche non significano, tuttavia, che non si possa o non sia opportuno rivedere il numero di componenti delle due Camere. Del resto la costituzione in origine prevedeva che il loro numero fosse variabile, rapportando un deputato ogni ottantamila elettori ed un senatore, su base regionale, ogni duecentomila abitanti. Il numero fisso di componenti delle Camere è stato introdotto con legge costituzionale nel 1963. Quel che si vorrebbe è che ogni modifica nella composizione delle Assemblee elettive, che costituiscono il livello più elevato di rappresentanza della sovranità popolare, sia ragionevolmente giustificata, ne assicuri la rappresentatività, preservi l’adeguato collegamento con il corpo elettorale, sia coerente con la centralità e funzionalità del Parlamento anche per l’esercizio dei suoi poteri di indirizzo politico e controllo del Governo. Inoltre va garantita la eguale efficienza di entrambe le Camere, che mantengono identiche competenze. Una prospettiva genuinamente riformatrice richiederebbe una chiara visione di sistema, che non può essere soddisfatta dalla mera riduzione numerica dei componenti del Parlamento. © RIPRODUZIONE RISERVATA