Senza rispettare il dress code fantozziano - niente mutandoni ascellari e calzini e canottiera con chiazze di sugna -, senza la frittatatona di cipolle sul tavolino (ma la birra gelata sì, quella c’era e sebbene non Peroni formato famiglia: un bicchiere e stop), senza alcuna propensione al tifo sfegatato né al rutto libero, mercoledì mi son piazzato davanti al televisore, determinato a infliggermi, irresistibile attacco di masochismo, la visione di Italia - Argentina. Partita, essa sì, fantozziana al cento per cento. Nella pomposa etichetta: Finalissima fra i Campioni d’Europa e i Campioni del Sudamerica (ormai non c’è quasi più partita identificabile semplicemente con i nomi delle squadre in campo, si creano tornei a getto continuo, si sommergono i giocatori di coppe e medaglie, e allora ti chiedi perché mai sia stato lasciato morire il Trofeo Berlusconi, aridatecelo; o perché nessuno abbia ancora inventato una calcistica Coppa Cobram). Per il sottofondo inevitabilmente tristerrimo, dato dalla consapevolezza che loro a novembre andranno in Qatar, noi no. E per lo svolgimento: il massacro che avrete visto. Sembrava una sfida fra una squadra di serie A e una di serie C. Nostre azioni degne di nota? Zero virgola, la virgola sta per una iniziativa personale di Emerson, l’unica giocata d’un qualche pregio di una maglia azzurra. La costruzione dal basso? Diventata sinonimo di restituzione rapida del pallone agli avversari, che manco pressavano più di tanto. Dopo 45 minuti e due pappine, una gomitata bonucciana - non cattiva, solo stupida - e qualche numero di Messi facilitato da difensori appena più mobili di birilli, dopo 45 minuti così ho spento e sono uscito. Ripensando alla fiaba celeberrima, quella in cui la ragazza cade addormentata che pare morta, il principe la bacia e lei risorge. E una volta risorta resta risorta, e tutti vissero felici e contenti. L’anno scorso, gli Azzurri ci han fatto vivere la più bella delle fiabe, dando tutti il massimo e qualcosa di più (e approfittando della allergia al gol degli spagnoli, e dei francesi che alla Coppa han preferito il seppuku). Ma poi la squadra, a Mancini che l’aveva risuscitata, gli è rimorta fra le braccia. È da quel dì che non produciamo più giocatori di talento, in ogni ruolo: questo il punto.
* Opinionista e critico cinematografico