Tutto quello che c’è da fare per un pianeta in equilibrio

Tutto quello che c’è da fare per un pianeta in equilibrio

di Sauro Longhi
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Lunedì 6 Dicembre 2021, 15:54

Un fatto è chiaro e inequivocabile, se vogliamo ridurre le emissioni di CO2 e riportare il pianeta in equilibrio, occorrerà introdurre molteplici trasformazioni e innovazioni sociali ed economiche. Forse la più importante, la più dirompente è sicuramente la trasformazione, la rivoluzione energetica che richiederà di abbandonare quasi tutte le fonti energetiche fossili. Saranno necessarie molte trasformazioni nei processi produttivi, nei sistemi di mobilità, nei contesti residenziali. La traiettoria è certa ma non gli strumenti da utilizzare. Basandosi sull’evidenza scientifica, alla COP26 di Glasgow, i 196 Paesi della Convenzione delle Nazioni Unite per il contrasto ai Cambiamenti Climatici hanno riconosciuto che l’obiettivo delle politiche climatiche deve essere quello di mantenere la temperatura globale entro un aumento massimo di 1,5 °C rispetto all’epoca preindustriale. Per la prima volta si è condiviso questo importante obiettivo. A questo risultato ha contribuito sicuramente la grande mobilitazione della società civile, in particolare dei giovani, i più attenti e i più impegnati nella salvaguardia dell’ambiente. Purtroppo, nel testo approvato del Glasgow Climate Pact l’unica azione inserita è stata una graduale eliminazione dell’uso del carbone. Resta un invito senza nessuna imposizione sulle politiche climatiche da adottare. Ogni Paese, ogni territorio dovrebbe cercare di raggiungere il proprio equilibrio, proponendo azioni coerenti con gli obbiettivi condivisi per il contrasto ai cambiamenti climatici. Prendiamo, ad esempio, la produzione dell’energia elettrica, necessaria per ogni attività economica e sociale. È necessario ridurne la produzione da risorse fossili, avviando significative transizioni verso le energie rinnovabili. Scelte che non portano necessariamente ad aumenti nelle bollette, come qualcuno vorrebbe farci credere, se le transizioni vengono accompagnate da politiche di sviluppo economico coerenti e che puntano a creare equilibri territoriali necessari per quelli globali. Prendiamo ad esempio le Marche. Necessitano di poco più di 7 mila gigawattora, ma ne producono solo il 31% di cui il 60% da fonti rinnovabili. Quindi poco meno del 20% dell’energia di cui abbiamo bisogno proviene da fonti rinnovabili, prevalentemente fotovoltaico.

Esistono ampi margini per far crescere questa produzione. L’incremento del fotovoltaico deve avvenire “comprendendo” le infrastrutture esistenti senza consumare altro suolo come i terreni agricoli più soleggiati che devono continuare ad essere utilizzati per la produzione alimentare. Esistono tante infrastrutture industriali sui cui tetti si potrebbero installare impianti fotovoltaici. Aziende lungimiranti lo hanno già fatto, le altre andrebbero incentivate con strumenti finanziari adeguati, favorendo l’autoproduzione di elettricità. Tutti gli edifici pubblici, a partire dalle scuole, dovrebbero fare altrettanto. L’innovazione in questo settore sta producendo pannelli sempre più efficienti e meno impattanti anche dal punto di vista architettonico, permettendo la realizzazione di geometrie variabili. Questo permetterebbe ad ogni territorio di raggiungere il proprio equilibrio distribuendo lo sforzo produttivo. Il Pnrr per la transizione energetica ha riservato ingenti finanziamenti, perché non orientarli prevalentemente su questa prospettiva? Lo sviluppo conseguente permetterebbe anche di acquisire conoscenze e competenze in questo settore che avrà nel prossimo futuro un sicuro incremento. Certo l’energia da fonti rinnovabili può dipendere dalle condizioni meteorologiche, e richiede pertanto capacità di accumulo complesse ma possibili. La stessa rete di distribuzione dell’energia elettrica può ridurre la necessità dell’accumulo favorendo nei diversi livelli, anche di prossimità, la condivisione dell’energia prodotta. Le complessità tecnologiche sono superabili, le difficoltà sono più nella organizzazione e gestione, ma anche queste sono superabili con i tanti strumenti che la transizione digitale rende disponibili. Per essere capaci di costruire un futuro di progresso occorre coraggio, conoscenza e visione altrimenti si restaura solo il passato.


* Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione Facoltà di Ingegneria Università Politecnica delle Marche
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