La raccolta di aiuti per i profughi della guerra in Ucraina alla chiesa di Santa Sofia a Roma

«Non domandiamo chi sei, ma come possiamo soccorrerti»

di Don Aldo Buonaiuto
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Lunedì 21 Marzo 2022, 19:04

Nessuno più di chi conosce la povertà e l’incertezza può rendersi conto del dramma dei profughi. Nel nostro territorio la crisi economico-sociale ha duramente colpito la popolazione che però non si è mai chiusa nell’egoismo e nell’indifferenza dando prova di spirito di condivisione e di generosità anche di fronte al disastro umanitario in Ucraina. È veramente commovente la grande solidarietà così spontanea e aperta a ogni necessità e che rappresenta l’attualizzazione della parabola evangelica del Samaritano, perché, come insegna l’instancabile Madre Teresa di Calcutta, «non chiediamo chi sei, domandiamo come possiamo soccorrerti». Lungo quella stessa frontiera orientale sono anni che bussano alle porte dell’Europa le differenti indigenze del pianeta (afgani, siriani, migranti della rotta balcanica): la Chiesa si adopera per accogliere e aiutare indistintamente tutti coloro che sono costretti ad abbandonare le loro case, perché «ero forestiero e mi avete ospitato». Coerentemente con il dettato evangelico, senza interruzione, anche nella nostra regione vengono spalancate le braccia a migliaia di bisognosi che chiedono rifugio e misericordia, anche quando i corridoi umanitari restano un’intenzione inascoltata. Ciascun profugo reca la dignità e la condizione di sofferenza che reclamano una doverosa azione individuale e collettiva a favore delle fragilità ignorate dai grandi della Terra. Solo chi accoglie questi piccoli ha diritto al Regno dei Cieli. Quantificare il dolore equivale a privare i rifugiati di ciò che è loro diritto ricevere. Non sono i numeri a tracciare la profondità di una catastrofe come quella ucraina. Dietro le cifre ci sono sofferenze in carne ed ossa. Sta a noi impegnarci affinché le ferite e le macerie non soffochino le possibilità di un avvenire di pace. Una mamma è scoppiata a piangere quando ha saputo che la sua bambina avrebbe imparato l’italiano sui banchi scolastici. Tanti chiedono di potersi rendere utili, propongono di lavorare per togliersi di dosso l’etichetta ingombrante di profugo. È nostro compito trasformare un tragico evento straordinario in ordinaria inclusione, ossia mostrare la capacità di assorbire un flusso inatteso di migranti valorizzandone le specificità e i talenti.

Tutti e ciascuno hanno un’identità e una volontà di uscire dalla pagina più buia della loro vita per creare le condizioni di un ritorno in patria e di una ricostruzione morale e materiale. «Siamo qui per costruire le basi di un futuro pacificato e laborioso», concordano i rifugiati, grati e collaborativi di fronte ad uno sradicamento che considerano un dramma al quale porre rimedio al più presto. Non c’è desiderio di vendetta, bensì ferma determinazione a superare una frattura storica che produce lacrime e divisione. Papa Francesco indica che «solo l’amore può salvare la famiglia umana» e non si stanca mai di percorrere qualunque strada per fermare la guerra, «la via della distruzione facile da imboccare» e in grado di produrre «tante macerie». Con le armi tutto è perduto, con il dialogo ogni soluzione può essere raggiunta. Noi con l’accoglienza, le diplomazie attraverso i negoziati puntiamo al medesimo obiettivo: fermare l’inutile strage! Negli occhi terrorizzati dell’infanzia ucraina c’è scritta una domanda limpida e diretta: che senso ha vincere una guerra seminando sangue e paura per poi perdere la pace? Una Nazione non è solo un territorio, ma soprattutto chi lo abita. Annaffiare le radici dell’odio farà crescere le future piante avvelenate dell’inimicizia e dell’ostilità. Non è interesse delle cancellerie e delle popolazioni alzare i muri invece di costruire ponti perché poi, come dimostra mezzo secolo di guerra fredda, le “barriere difensive” crollano come cartone sotto il soffio dello Spirito. Ciò che facciamo oggi per gli ucraini di domani è la migliore garanzia sull’avvenire. Chi è soccorso oggi ricorderà coloro che hanno aperto le porte di casa per aiutare un popolo nel suo esodo di tribolazioni e insicurezze. Anche un piccolo gesto può redimere un’umanità troppe volte indifferente perché, nelle Scritture, è l’obolo della vedova l’offerta più gradita al Signore.

Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII

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