Nessuno più di chi conosce la povertà e l’incertezza può rendersi conto del dramma dei profughi. Nel nostro territorio la crisi economico-sociale ha duramente colpito la popolazione che però non si è mai chiusa nell’egoismo e nell’indifferenza dando prova di spirito di condivisione e di generosità anche di fronte al disastro umanitario in Ucraina. È veramente commovente la grande solidarietà così spontanea e aperta a ogni necessità e che rappresenta l’attualizzazione della parabola evangelica del Samaritano, perché, come insegna l’instancabile Madre Teresa di Calcutta, «non chiediamo chi sei, domandiamo come possiamo soccorrerti». Lungo quella stessa frontiera orientale sono anni che bussano alle porte dell’Europa le differenti indigenze del pianeta (afgani, siriani, migranti della rotta balcanica): la Chiesa si adopera per accogliere e aiutare indistintamente tutti coloro che sono costretti ad abbandonare le loro case, perché «ero forestiero e mi avete ospitato». Coerentemente con il dettato evangelico, senza interruzione, anche nella nostra regione vengono spalancate le braccia a migliaia di bisognosi che chiedono rifugio e misericordia, anche quando i corridoi umanitari restano un’intenzione inascoltata. Ciascun profugo reca la dignità e la condizione di sofferenza che reclamano una doverosa azione individuale e collettiva a favore delle fragilità ignorate dai grandi della Terra. Solo chi accoglie questi piccoli ha diritto al Regno dei Cieli. Quantificare il dolore equivale a privare i rifugiati di ciò che è loro diritto ricevere. Non sono i numeri a tracciare la profondità di una catastrofe come quella ucraina. Dietro le cifre ci sono sofferenze in carne ed ossa. Sta a noi impegnarci affinché le ferite e le macerie non soffochino le possibilità di un avvenire di pace. Una mamma è scoppiata a piangere quando ha saputo che la sua bambina avrebbe imparato l’italiano sui banchi scolastici. Tanti chiedono di potersi rendere utili, propongono di lavorare per togliersi di dosso l’etichetta ingombrante di profugo. È nostro compito trasformare un tragico evento straordinario in ordinaria inclusione, ossia mostrare la capacità di assorbire un flusso inatteso di migranti valorizzandone le specificità e i talenti.
* Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
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