Ferro e gomma, salto nel futuro ad alta velocità

Ferro e gomma, salto nel futuro ad alta velocità
di Francesco Malfetano
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Mercoledì 16 Settembre 2020, 09:31 - Ultimo aggiornamento: 30 Settembre, 16:47
Un’Italia veloce e sostenibile su ferro e su gomma. Non è una vera novità: il futuro del Paese passa dalle sue infrastrutture. Lo si sa da anni eppure, nonostante la consapevolezza, oggi l’Italia intera non solo è ferma al palo, ma è costretta anche ad assistere inerme a sequele ininterrotte di tragedie e passi falsi. Pur lasciando fuori i discorsi di responsabilità - politica e civile, attuale e passata - e dimenticando per un attimo la burocratizzazione costante del Paese perseguita quasi scientificamente, a disegnare la storia italiana degli ultimi anni sulla tela del presente non restano altro che vicende come quella del ponte Morandi. L’Italia ha dimostrato di non essere un Paese liquido, capace di mutare forma per adattarsi alle necessità, anzi, di essere solido, solidissimo nei suoi errori. Sulle infrastrutture ad esempio conosciamo un ritardo stratificato, in cui si sovrappongono incapacità amministrativa, corruzione, scappatoie e poca visione politica. Colmarlo però è l’unico modo che il Paese ha per fare i conti con il passato e magari una volta tanto provare ad essere qualcosa di diverso, risorgendo dalle ceneri economiche che il Covid-19 si è lasciato alle spalle.




L’OBIETTIVO
E stavolta, che i soldi potrebbero non essere un problema, bisogna trovare la giusta chiave di lettura per sfruttare al meglio per le infrastrutture i 209 miliardi di euro che tra grants e prestiti disponibili l’Europa ha messo a disposizione dell’Italia con il Next Generation Eu. D’altronde l’intervento sulle infrastrutture stradali è fondamentale in un Paese come il nostro in cui oltre l’80% delle merci movimentate su terra (nell’Ue è il 73%) e oltre l’80% dei passeggeri (in linea con l’Ue) viaggia su gomma. Non solo, potenziare la rete ferroviaria risponde anche alla necessità di ridurre l’impatto ambientale, considerando che l’emissione di CO2 per tonnellata-chilometro o per passeggero del trasporto su ferro è significativamente inferiore sia di quello su strada che, soprattutto, di quello aereo. Un’esigenza colta tanto dal premier Giuseppe Conte durante gli incontri di Villa Pamphilj quanto dalla ministra dei Trasporti Paola De Micheli che dalla presentazione dei progetti italiani in Ue del 15 ottobre vorrebbe ottenere i 66,9 miliardi di euro mancanti per “Italia Veloce”. Vale a dire il piano di opere infrastrutturali già pronto dallo scorso gennaio ma riadattato dopo l’emergenza che, come ha chiarito la De Micheli, non solo «prevede 200 miliardi di investimenti in 15 anni» ma «per circa 130 miliardi è già finanziato». Si tratta di un elenco preciso di opere ferroviarie, aeroportuali, marittime e stradali «ciascuna provvista di crono-programma, coperture, iter per portarle a compimento». L’obiettivo è fare dell’Italia «un Paese più accessibile per tutti. Vogliamo far sì che l’80% degli italiani possa vivere a meno di un’ora da una stazione dell’alta velocità. E aumentare del 20% la velocità degli spostamenti». In pratica si tenterà di rispondere in questo modo alle sollecitazioni della Commissione Ue - fin qui tutto sommato ignorate - per ridurre le disparità regionali. Non è un caso se in un’intervista al Messaggero, De Micheli ha garantito che andrà al Sud il 40% degli investimenti destinati al piano.

LA MAPPA
In totale gli interventi sono un centinaio e, a volere essere precisi, avranno bisogno di 196,5 miliardi di euro di cui 129,6 già disponibili secondo il Mit. Molti sono da realizzare entro il 2030 mentre altri, con al centro il completamento dell’Alta Velocità in tutta l’Italia (Sicilia compresa ma Ponte sullo Stretto forse), sono già cantierabili nei prossimi 2 anni. È il caso della Napoli-Bari che «resta il punto di riferimento degli investimenti al Sud» con 15,4 miliardi da spendere solo in Campania (di cui 7 sulle ferrovie) e 10,4 in Puglia. Ma sono previsti anche il nuovo collegamento Genova-Roma, valutando diverse opzioni di intervento (La Spezia-Pisa-Livorno), e la direttrice adriatica. A questi progetti, nel documento che riassume in 29 pagine di slide e tabelle il futuro dell’Italia, si prevede di affiancare una miriade di cantieri locali non solo su porti e aeroporti ma soprattutto su nodi e direttrici ferroviarie. Si va dal tanto atteso nodo Pigneto Fs per lo scambio tra la Metro C e le ferrovie regionali a Roma, ai crocevia di Torino (linea veloce Porta Nuova-P.Susa), Milano (con l’hub di Smistamento ferroviario che sarà collegato agli aeroporti), Bologna e Bari Sud.

I CORRIDOI TEN-T
Inoltre, come già confermato dalle “Linee guida per la definizione del piano nazionale di ripresa e resilienza” presentate il 9 settembre, si prevede esplicitamente il «completamento dei corridoi TEN-T», ovvero la rete di trasporto trans-europea che entro il 2030 punta a collegare i 27 paesi dell’Ue.
Un’ambizione che in Italia si traduce non solo nel completamento dell’«autostrada del Mare» (per collegare al Nord Europa i porti della Penisola), del corridoio Reno-Alpi o di quello Baltico-Adriatico quanto soprattutto nella realizzazione finale del tunnel di base per la Torino-Lione nell’ambito del corridoio Mediterraneo. 
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