Ucraina, sanzioni boomerang alla Russia: dal cibo alla ceramica, imprese a rischio blocco

Gli scambi commerciali tra Italia e Russia si sono ridotti, ma riguardano beni strategici. In bilico metà dell’argilla per il distretto di Sassuolo. Bonomi: difendere l’industria

Ucraina, sanzioni boomerang alla Russia: dal cibo alla ceramica, imprese a rischio blocco
Ucraina, sanzioni boomerang alla Russia: dal cibo alla ceramica, imprese a rischio blocco
di Andrea Bassi
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Venerdì 25 Febbraio 2022, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 09:28

In Europa tutti lo sanno. E lo hanno messo in conto. Le sanzioni colpiranno duramente la Russia, ma i loro effetti si faranno sentire anche sulle economie dei Paesi che le hanno inflitte. Per alcuni, come l’Italia, più che per altri. Ma c’è poco da fare. A tutti è chiaro che la risposta all’invasione dell’Ucraina deve essere ferma, dura e unitaria. «Il precipitare degli eventi», ha spiegato il presidente degli industriali italiani Carlo Bonomi, «chiama oggi tutti a riaffermare il proprio impegno a sostegno della libertà e a lavorare nella massima unità nella Comunità Europea e nella Nato per fermare una nuova guerra d’aggressione nel nostro continente». Il leader di Confindustria ha subito avviato una consultazione straordinaria dell’associazione con tutti gli omologhi europei. Anche gli industriali vogliono mostrare di marciare uniti. Ma lo scenario che si presenta davanti all’Italia nelle prossime settimane non è semplice. Anzi. Dopo l’annessione nel 2014 della Crimea da parte di Mosca e con le conseguenti sanzioni internazionali, i rapporti commerciali tra l’Italia e la Russia si sono molto raffreddati.

Nel 2012-2013 la Russia era destinazione del 2,7% dell’export italiano e origine del 5,2% dell’import.

L’interscambio totale, insomma, superava i 34 miliardi di euro. Lo scorso anno, Mosca è stata la destinazione dell’1,5% delle esportazioni italiane e origine del 3% delle importazioni. I rapporti commerciali si sono dimezzati. Numeri che oggi possono sembrare piccoli. Ma è un’illusione. Primo, perché le importazioni che arrivano dalla Russia sono per l’Italia strategiche. Dentro quel 3% di import c’è il 42% del gas usato nel Paese e il 13% del petrolio. Inoltre, la Russia è origine di più di metà dell’import italiano di carbone e lignite, tra l’altro in forte aumento rispetto ai livelli precedenti alla crisi, di circa 15% dei prodotti petroliferi e di quasi il 7% dei metalli di base (in aumento in particolare gli acquisti di alluminio). 

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La sottostima

Secondo, a sottostimare il dato delle importazioni è anche il fatto che lo scorso anno il prezzo del gas era decisamente più basso di quello di oggi. A guardare solo alla Russia, poi, si rischia di non vedere l’altra faccia della medaglia: quella dell’Ucraina. E non è meno preoccupante. Basta ascoltare il grido di dolore che è subito arrivato da Vincenzo Divella, amministratore delegato dell’omonimo pastificio. «Oggi (ieri, ndr) è stata bloccata una nostra nave che doveva andare a caricare grano di alta qualità nel porto do Rostov». Nel mar Nero già non si naviga più. Il settore agroalimentare rischia di essere messo in ginocchio. L’Ucraina produce 36 milioni di tonnellate di mais per l’alimentazione animale (quinto posto nel mondo) e 25 milioni di tonnellate di grano tenero per la produzione del pane (settimo posto al mondo) mentre la Russia è il principale Paese esportatore di grano a livello mondiale. Il settore alimentare ci perde anche nell’altro senso, quello dell’export. Lo scorso anno verso Russia e Ucraina, secondo i dati di Unionfood, sono stati esportati 850 milioni di beni alimentari. Il caffè, da solo, vale 68 milioni, il cioccolato 33 milioni, la pasta 22 milioni. Ma ci sono anche altre conseguenze meno evidenti ma non meno preoccupanti. Il distretto della ceramica di Sassuolo, uno dei fiori all’occhiello de Made in Italy, per esempio. Circa la metà dell’argilla e del caolino utilizzati per l’industria ceramica del distretto arrivano, via porto di Ravenna, dall’Ucraina. Un altro pezzo pregiato dell’industria nazionale che rischia di essere messo in ginocchio. Come già accaduto al distretto calzaturiero di Fermo, nelle Marche. Nel 2013, prima delle sanzioni per la Crimea, esportava verso la Russia per oltre 720 milioni. Dopo sette anni le vendite sono scese a poco più di 270 milioni. Una debacle. E anche la moda piange. Cirillo Marcolin, presidente di Confindustria moda, ha ricordato che la Russia vale il 2,2% dell’export. Il mercato russo, ha detto, è «strategico».

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