Covid, la crisi porta il conto anche agli chef stellati: «Trattati come untori». Ristoratori allo stremo

La crisi Covid porta il conto anche agli chef stellati: «Trattati come untori». Ristoratori allo stremo
La crisi Covid porta il conto anche agli chef stellati: «Trattati come untori». Ristoratori allo stremo
di Laura Bogliolo
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Mercoledì 13 Gennaio 2021, 06:46 - Ultimo aggiornamento: 10:27

La perdita di fatturato si attesta sui 37.7 miliardi di euro, per i posti di lavoro a rischio il numero è da capogiro (300 mila), ma il timore è che la crisi possa dare il colpo di coda finale e far chiudere 60 mila imprese. Il settore della ristorazione (le stime sono della Fipe) è un gigante in sofferenza, quasi in rianimazione nella Penisola e le continue chiusure a singhiozzo stanno stremando anche le cucine animate dagli chef stellati o che comunque hanno fatto la storia del settore.

 


Lo chef Arcangelo Dandini è stato costretto a chiudere il celebre ristorante L'Arcangelo, di via Giuseppe Gioachino Belli, «perché lavorare solo a pranzo non ci portava da nessuna parte, ho quindi cercato di limitare i danni, continuo a pagare l'affitto, ma mi sono indebitato e penso soprattutto ai miei undici dipendenti». Dandini ha deciso di puntare tutto sull'altra attività, Supplizio, in via dei Banchi Vecchi. «Mi dà una boccata di ossigeno - dice - anche se gli affari si sono dimezzati».
ABNEGAZIONE
Sono i portabandiera dei prodotti Made in Italy, ma si sentono messi in un angolo, dimenticati e ignorati. «Abnegazione». Così lo chef Gianfranco Pascucci prova a descrivere «la ricerca della qualità nel cibo che non potrà mai sposarsi con l'asporto o il delivery».

Dal suo Al Porticciolo di Fiumicino, stella Michelin, prova a spiegare: «Come si fa a preparare una linea, le basi per i nostri piatti, se non sai per quanto potrai stare aperto?». La chiusura serale è stata e continua a essere una ghigliottina.

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«Se il problema è stata la movida - dice - perché non vietare il consumo di alcol in strada? Noi cosa c'entriamo?». Per Pascucci «si deve cercare una strategia per consentirci di restare aperti, ci sentiamo penalizzati dalle chiusure che toccano solo il nostro settore». Sono alla ricerca di un confronto, di un dialogo con il governo che al momento non c'è stato. Lo chef Anthony Genovese patron del ristorante Il Pagliaccio in via dei Banchi Vecchi, due stelle Michelin, si chiede: «Perché noi della ristorazione dobbiamo pagare un prezzo così alto? Abbiamo dovuto ridurre il nostro straordinario personale che comunque tiene duro solo perché ama questo lavoro». Per scavalcare la crisi Genovese ha dato vita al progetto Turnè, un format studiato per la consegna a domicilio. «Ci siamo diversificati - spiega - altrimenti saremmo già morti». Anche Genovese sottolinea la difficoltà per gli artigiani del cibo, «per i loro prodotti di grande qualità che non vendono nei supermercati e che hanno soltanto noi come clienti». Un altro chef stellato, Gastone Pierini, ideatore e patron del ristorante Moma di via di San Basilio, davanti all'ambasciata americana descrive la situazione: «Siamo in attesa di essere liberati» tra un Dpcm e un altro. «Non ho solo stime sulle perdite del ristorante, ma anche certezze: è dell'80%». Un po' di ossigeno arriva dalla pizzeria «con il delivery e l'asporto».

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«NOI GLI UNTORI?»
Dai Kennedy a Liz Taylor, Hollywood ha cenato dal Vero Alfredo, a piazza Augusto Imperatore. Ines Di Lelio, la nipote di Alfredo, spiega: «Durante le festività i negozi erano affollati e saremmo noi gli untori? Il virus a pranzo non c'è e a cena compare? Chiediamo solo di lavorare». Due giorni fa, ai tavoli c'erano soltanto due persone.
Parla chiaro Davide Del Duca, dell'Osteria Fernanda, in via Crescenzo del Monte, membro dell'associazione Ambasciatori del gusto: «La chiusura serale ti impedisce di difenderti, i nostri prodotti sono in un certo senso beni di lusso e a pranzo al massimo può venire chi è costretto a stare fuori casa per lavoro, poi la chiusura il sabato e la domenica per noi è stata la bastonata finale». Il delivery, che secondo i piani dovrebbe essere un'ancora di salvezza in questo settore non funziona proprio. «Non è adatto alla ristorazione di alto livello - dice Del Duca - non conviene, abbiamo tentato di farlo durante le festività, ma non ci salva assolutamente». E conclude: «La nostra categoria è stata messa in un calderone, siamo stati ignorati, insomma, siamo diversi dalle pizzerie, o dai pub».

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