Pensioni, aumenti da marzo: ecco di quanto per ogni fascia. Recupero dell’inflazione
per tutti

Con la rata di marzo gli incrementi vanno anche agli assegni oltre 2.100 euro mensili. L’Inps ha applicato l’adeguamento degli importi alla crescita dei prezzi 2022

Pensioni, aumenti da marzo: ecco di quanto per ogni fascia. Recupero dell’inflazione per tutti
Pensioni, aumenti da marzo: ecco di quanto per ogni fascia. Recupero dell’inflazione per tutti
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Lunedì 27 Febbraio 2023, 09:20

Operazione completata: con la rata in pagamento a inizio marzo è stata applicato a tutte le pensioni l’adeguamento all’inflazione maturata nel 2022. Le modifiche al meccanismo di calcolo, apportate in corso d’opera durante l’esame parlamentare della legge di Bilancio, avevano infatti costretto l’Inps a procedere in due fasi.

Pensioni, aumenti netti fino al 6,5%

Da gennaio le pensioni fino a 2.101,52 euro lordi mensili (ovvero fino a quattro volte il trattamento minimo che è di 525,38 euro) sono state incrementate del 7,3 per cento, il tasso provvisorio che era stato fissato lo scorso novembre. Per gli assegni di importo superiore a questa soglia la rivalutazione invece non è totale, ma determinata con percentuali decrescenti (e ritoccate all’ultimo momento). Così è stato necessario rifare tutti i conteggi. Ora quindi anche per i pensionati relativamente più benestanti arrivano le maggiorazioni, insieme agli arretrati relativi ai due mesi precedenti.


LA PROGRESSIVITÀ
Le pensioni però, al pari degli altri redditi, sono tassate: gli incrementi netti non corrispondono a quelli lordi, perché l’imposizione è progressiva e dunque le somme aggiuntive subiscono un’aliquota marginale più alta (anche per il venir meno delle detrazioni d’imposta, che hanno al contrario un andamento decrescente). Vediamo allora di capire cosa succede concretamente nel cedolino della pensione, limitandoci alla sola rata mensile senza gli eventuali arretrati. Partiamo da un assegno di 2 mila euro lordi, che collocandosi al di sotto delle quattro volte il minimo Inps è già stato adeguato a gennaio. L’aumento come detto è del 7,3 per cento, che si traduce sulla carta in 146 euro lordi in più. L’effetto dell’Irpef e delle addizionali fa sì però che la rata mensile netta cresca di circa 100 euro, mentre i restanti 40 sono assorbiti dal prelievo fiscale: in percentuale la variazione netta è intorno al 6,5%. Per trattamenti superiori il meccanismo cambia: il tasso di rivalutazione del 7,3 non viene riconosciuto in pieno ma solo in percentuale, con effetto sull’intero importo.

Con 2.500 euro lordi mensili (ovvero tra quattro e cinque volte il minimo) la percentuale è dell’85% e dunque l’incremento sarà del 6,205 per cento: 155 euro in più che si riducono a 96 dopo la tassazione. Quindi l’aumento netto è del 5,2 per cento.


Al crescere della pensione la percentuale si riduce, secondo le fasce stabilite da maggioranza e governo nell’ultima legge di Bilancio: questo meccanismo ha permesso allo Stato di limitare l’esborso dovuto per compensare la forte inflazione, risparmiando oltre 2 miliardi nel 2023 e circa 10 nel triennio. Ecco così che con un assegno mensile di 3 mila euro (tra cinque e sei volte il minimo) il tasso di rivalutazione applicato al 53% scende a un più modesto 3,869 per cento: 116 euro di maggiorazione lorda, che diventano 72 in termini netti. Ma siccome le pensioni più alte subivano già un prelievo medio relativamente più elevato, la differenza tra l’incremento lordo e quello netto va a ridursi: dopo l’applicazione di Irpef e addizionali coloro che percepiscono un assegno di questo importo troveranno una crescita effettiva della rata di circa il 3,4 per cento. A quota 4 mila euro lordi mensili (tra sei e otto volte il minimo) si ha un aumento lordo del 3,431% che scende poco sotto il 3 in termini netti: l’incremento mensile di 137 euro ne vale 78 effettivi in più nel cedolino della pensione. Ci sono poi ulteriori due fasce con rivalutazione ancora più ridotta: quella compresa tra otto e dieci volte il minimo e quella di coloro che hanno una pensione superiore a dieci volte l’importo di 525,38 euro mensili. Prendendo a riferimento trattamenti di 5 mila e di 6 mila euro lordi mensili, si hanno rispettivamente incrementi lordi del 2,701 e del 2,336 per cento. Che in termini netti risultano limati a 2,4 e 2,2 per cento circa.


LA DIFFERENZA
C’è però un altro elemento da ricordare anche il tasso di rivalutazione “pieno” del 7,3 per cento riconosciuto agli assegni meno elevati, determinato in autunno con un decreto ministeriale, risulta più basso dell’inflazione misurata a consuntivo dall’Istat. Che era stata nel 2022 dell’8,1 per cento. La differenza dovrà essere recuperata il prossimo anno, quando i pensionati otterranno anche l’adeguamento all’inflazione del 2023, stimata al momento intorno al 5-6 per cento.
 

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