Auto elettriche, le incognite della svolta green: tempi, colonnine, costi e batterie

Auto elettriche, le incognite della svolta green: tempi, colonnine, costi e batterie
di Gianni Molinari
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Venerdì 10 Giugno 2022, 07:00 - Ultimo aggiornamento: 11 Giugno, 09:09

Ma davvero è possibile non produrre più auto con motori endotermici (benzina, gasolio, gas) entro il 2035? Sì, no, forse... Per arrivare a una produzione completamente non endotermica abbiamo 12 anni, un periodo parrebbe - idoneo per fare investimenti in tutta la lunga filiera dell'auto e prepararsi. Ora è chiaro o dovrebbe esserlo che non è proprio così semplice: che non si cambia solo il motore di un'auto ma tutto l'insieme dei materiali, che serve una rete di approvvigionamento dell'energia capillare e ridondante, che vanno formati tutti i manutentori ed altro ancora.

Molte aziende si sono avviate (l'Alfa Romeo dal 2027 produrrà solo modelli elettrici, la Bmw ha fissato la sua dead line nel 2030), altre lo hanno annunciato, altre nella componentistica - non sanno cosa fare. Perché non è detto che chi oggi produce una parte di un'auto la produrrà anche dopo il 2035, servono investimenti giganteschi e non tutti hanno le capacità tecniche o i capitali per farlo. Ma diciamo pure che tutti lo faranno. Tra mille incognite, ma lo faranno. La prima delle tante questioni in ballo è quella tecnologica: ci sono sufficienti e a sufficienza competenze per accompagnare tutto il settore dell'automotive in 12 anni a questo nuovo approdo? In un recente documento delle Confindustrie del Nord si sosteneva che è indispensabile «colmare il gap delle competenze professionali» e «porsi l'obiettivo di frenare le spinte delocalizzatrici che saranno inevitabili nel momento in cui l'impresa valuterà più competitivo produrre in quei Paesi, al di fuori dell'Europa, dove sono già ampiamente utilizzate quelle tecnologie necessarie a rendere sostenibile l'elettrificazione, dove sono presenti le competenze per implementarla, e dove i vincoli burocratici non sono dettati dalle ideologie ma dal mercato».

Una cosa sono i motori, un'altra le batterie, un'altra tutto il resto dell'auto perché, per esempio, per bilanciare il maggiore peso delle batterie bisognerà alleggerire il resto della struttura e dei componenti e l'eventuale maggiore peso penalizza sia i consumi, sia la prestazioni. Tutto deve essere fatto senza toccare gli standard di sicurezza. E serve farlo per un mercato di una trentina di milioni di auto (il 1 gennaio 2022 le auto elettriche in circolazione erano 244.944, di cui 127.789, a batteria, e 119.155 ibride plug-in). 

C'è un conto da pagare, ovviamente: secondo uno studio dell'Associazione europea della componentistica (Clepa) l'Italia rischia di perdere, entro il 2040, circa 73mila posti di lavoro, di cui 67mila già nel periodo 2025-2030. Non è però solo un (gigantesco) problema industriale e anche un altrettanto - e forse più grande ancora - problema infrastrutturale: per esempio nella rete autostradale da una decina di postazioni per i carburanti di oggi (per un pieno servono al massimo 5') sarà indispensabile passare ad almeno un centinaio di postazioni per le auto elettriche. Per un'auto media con una batteria da 25 kWh servono 8 ore per ricaricare completamente a casa (con una potenza media di 3 kW), 2 ore per ricaricare completamente in stazioni di ricarica più veloci (con potenza compresa tra 7,4 e 22 kW) e 30 minuti per ricaricare completamente presso le stazioni di ricarica più veloci (con potenza compresa tra 43 kW e 50 kW) (dati EnelX). Certamente entro il 2035 le innovazioni porteranno a un sicuro abbattimento, magari del 50% dei tempi, e il miglioramento degli accumulatori, ma sostanzialmente il problema infrastrutturale si sposta poco: sempre serviranno centinaia di postazioni che avranno bisogno di tanto spazio anzitutto e dell'energia (più o meno per una stazione media servono mille kilowatt installati!). 

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L'energia è l'altra grande ipocrisia di questa storia: lo spostamento dalla combustione all'elettrico non deve esser fatto spostando il problema altrove. Serve energia «decarbonizzata». Ma ora - e nel 2035 - non ce n'è a sufficienza: in Italia le rinnovabili rappresentano (dati Terna 2020) il 38% dell'energia totale prodotta (idroelettrico è il 41% dell'energia rinnovabile, il fotovoltaico il 22%, l'eolico il 16% tutte le altre fonti il 21%). Questo spiega anche la gravità della dipendenza dal gas russo. Per far muovere le auto elettriche servono - secondo stime degli operatori - 100 terawatt all'anno: oggi complessivamente l'Italia ne produce 260 e ne consuma 321 (i 61 di differenza arrivano dall'estero). Cosa si farà per procurasi questa energia pulita per alimentare nei prossimi decenni 30 milioni di auto? Ci sono diverse opzioni, nessuna purtroppo immediatamente disponibile: le nuove centrali nucleari (ma questo è un tema quasi intoccabile in Italia, unico paese ad aver lasciato quell'energia dopo il disastro di Chernobyl, ma che compra energia prodotta dalle centrali nucleari francesi a un tiro di schioppo dal confine e ce ne sono quattro), l'idrogeno, altri avveniristici combustibili al centro di ricerche. Nel frattempo in Italia delle 38,8 milioni di auto circolanti il 26,2 per cento è ante Euro 4, vale a dire immatricolate prima del 2006. Cioè un'auto su 4 è un problema: e sono quasi 10 milioni! Nonostante tutte le ondate di incentivazioni sempre lì stanno: addirittura l'età media è aumentata da 7,9 del 2009 agli 11,8 del 2021. Quindi aumentano. Sono le auto responsabili dell'inquinamento, che causano la stragrande maggioranza di polveri sottili: ma stanno sempre lì. Quindi, abbiamo fissato nel 2035 (lo aveva fatto il Cite, il comitato interministeriale per la transizione energetica il 10 dicembre scorso, ben prima del Parlamento Europeo) la data di fine della produzione di auto alimentate da benzina, diesel e gas ma non abbiamo idea di cosa dovremmo fare. E, solo per memoria, l'Europa contribuisce alle emissioni su base annua di anidride carbonica per il 7,47% (l'auto da sola è l'1%), la Cina per il 30,6 e gli Stati Uniti per il 13,5. 

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