In fondo, gli mancava solo di salvare l’ambiente.
Per il resto ha fatto tutto: impreziosito tagliatelle fumanti, caricato il gusto delle carni, magnificato pane e olio, spingendosi fino all’astice (ma senza mai umiliare origini e vocazioni marine), reso felice Winston Churchill che lo accompagnava a champagne (il Pol Roger) e tirate di sigaro. Perché il tartufo non è solo un tubero bitorzoluto nato dal capriccio di una radice, è il motore felice della gastronomia mondiale, sposo saporito per ogni piatto e voce da 60 milioni di euro l’anno nel bilancio della Urbani Tartufi srl, una sede elegante nel cuore della Valnerina, a poche decine di chilometri da Perugia, con due stabilimenti in provincia di Terni, uno ad Alba in Piemonte e due centri di distribuzione, a Milano e a Roma. Urbani Tartufi, circa 300 dipendenti, è una delle prime imprese al mondo interamente dedicata al prezioso condimento, sopratutto al Nero di Norcia. Prima non solo per la commercializzazione (sei filiali in Usa oltre a essere presente in Francia, Dubai e Hong Kong), ma anche per la tecnologia di coltivazione, la vera svolta per il futuro di un frutto bizzarro perché niente è scontato con il tartufo, a cominciare dalla sua nascita.
IL PROGETTO
Piatto ricco quello del condimento con un calcolo che fa così: il commercio annuale del settore raggiungerà, a livello mondiale, un valore a nove zeri in euro, una scia di profumo lunga migliaia di chilometri sopra le tavole dei buongustai. Lo spiega in uno studio la Jfc, esperti del settore. Marylin Monroe, chiamata negli anni ‘60 a celebrare il battesimo gastronomico di uno dei tartufi bianchi più grandi al mondo, non avrebbe mai immaginato nei contorni di quel patatone profumato il futuro economico di interi territori boschivi la cui vocazione è passata dalla legna da ardere, alla carta e ora alla coltivazione del famoso tubero. Il progetto alza le sue antenne in Umbria nel 2017 con la forza innovativa della sesta generazione della Urbani Tartufi e dalla volontà di dare vita a nuove tartufaie, attraverso la coltivazione di piante micorrizate. Questo grazie ad un progetto a tutto tondo che accompagna gli agricoltori nell’intero processo, dalla semina alla vendita del prodotto. L’idea si chiama Truffleland, in cui l’esterofilia si coniuga con i mercati del tartufo Urbani – che spaziano dall’America alla Cina – e unisce le più avanzate tecniche dell’agricoltura moderna a quelle tradizionali che consentono di riqualificare zone abbandonate, montane o collinari garantendo la sopravvivenza di specie autoctone e preservando la biodiversità.
LE FILIALI
Lo sviluppo interno con un occhio sempre presente all’estero. D’altra parte, la Urbani nasce nel 1852 da Costantino che spedisce i suoi tartufi in Francia per poi spingersi verso la Svizzera e la Germania. Ma la vera svolta arriva più tardi e la racconta Olga Urbani: «Sono stati Paolo e Bruno, ossia mio padre e mio zio, a dare la spinta internazionale. Dopodiché, io e i miei cugini Carlo e Giammarco abbiamo consolidato il loro lavoro, aprendo molte filiali all’estero, ma soprattutto abbiamo un po’ ruotato la linea produttiva. Anziché concentrarci solo sulla produzione del tartufo, abbiamo scommesso sui prodotti derivati. Oggi vantiamo oltre 600 prodotti a base di tartufo». Bruno Urbani, presidente dell’azienda e patriarca, ha sempre avuto a cuore tutti i componenti dell’azienda: «È con il contributo di tutti che si riesce a compiere un viaggio importante». L’idea è quella di Adriano Olivetti, tra i più grandi imprenditori italiani: il successo dell’azienda è legato al benessere di chi ci lavora. Se nel portafoglio degli ordini ci sono America, Europa e Giappone con gli emergenti Cina, Corea, Taiwan e Medio Oriente, è lo sguardo dalle vetrate dell’azienda che riempie il cuore. «Vi confido un segreto – chiude Giammarco Urbani – vedete quella chiazza di erba secca sotto le piante tartufigene? È il segnale che sotto c’è sicuramente tartufo, perché dove cresce lui non c’è spazio per nessun altro». Come a tavola.
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