Salari, Italia in coda ma nel 2021 c'è stato un recupero record

Salari, Italia in coda ma nel 2021 c'è stato un recupero record
di Luca Cifoni
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 7 Settembre 2022, 15:08 - Ultimo aggiornamento: 8 Settembre, 10:19

Nei mesi scorsi la tabellina ha girato parecchio, sui social e non solo: il grafico ricavato dalle statistiche Ocse inchiodava il nostro Paese all’ultimo posto in Europa per la crescita delle retribuzioni tra il 1990 e il 2020.

Anzi, di crescita non si poteva nemmeno parlare: in fondo alla classifica c’era un misero -2,9 per cento in termini reali, l’unico valore negativo tra tutte le altre economie. Ora la stessa Ocse (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, a cui aderiscono 38 Stati) ha pubblicato l’aggiornamento dei dati al 2021: non modifica la situazione di fondo ma vede un netto miglioramento del nostro Paese. Che anzi – insieme alla Finlandia – è quello che lo scorso anno ha recuperato di più facendo segnare un incremento superiore al 7 per cento, grazie al quale il consuntivo degli ultimi 31 anni torna in territorio positivo.

IL DATO

Prima di proseguire, è utile capire di che dato stiamo parlando. Non si tratta di una rilevazione relativa all’andamento effettivo delle retribuzioni, quelle contrattuali o quelle di fatto. Ma della componente “salari” all’interno del prodotto interno lordo. Sul sito dell’organizzazione parigina è spiegato che i numeri, espressi a prezzi costanti e a parità di potere d’acquisto, sono ricavati proprio dividendo la voce “retribuzioni” nella contabilità nazionale per il totale dei lavoratori, e tenendo poi conto della quantità di ore lavorate. Ma al di là dei tecnicismi, è importante capire che la trentennale stagnazione italiana non riflette necessariamente l’andamento degli stipendi dei singoli o delle categorie (che in molti casi hanno avuto una dinamica reale positiva) ma spiega piuttosto cosa è successo ai salari all’interno dell’economia nel suo complesso.

Economia che nel corso degli anni è riuscita a creare prevalentemente posizioni lavorative di modesto livello, spesso in settori dei servizi a bassa produttività. Un fenomeno evidenziato dalla crescente presenza di lavoratori poveri (working poor): persone che pur avendo un lavoro retribuito scontano un basso compenso o la precarietà. O spesso entrambe le cose. Ecco come è successo che ci siamo ritrovati sottozero, almeno fino al 2020.

IL RIMBALZO

Poi, dopo la terribile caduta di quell’anno, nel 2021 il prodotto interno lordo italiano ha avuto un forte rimbalzo, crescendo del 6,6 per cento. Ma la voce retribuzioni, sempre calcolata con gli stessi criteri, è cresciuta ancora di più: del 7,1% nel nostro Paese, il miglior risultato nell’area Ocse dopo il 7,2% della Finlandia. La Francia si è fermata al 6,1%, la Spagna al 4,1% e la Germania (il cui Pil era però caduto molto meno nel 2020) a un incremento di appena l’1,2%. Il risultato tricolore permette almeno di dire che in questi 31 anni i salari hanno avuto una crescita reale, seppur solo del 4,1 per cento.

IL CONFRONTO

Niente a che vedere con i numeri a tre cifre di alcuni Stati ex sovietici o del blocco comunista (in testa la Lituania con uno stupefacente +292%), i quali però hanno sperimentato nel frattempo il passaggio tra due modelli non paragonabili. Ma anche Francia e Germania nel periodo hanno fatto molto meglio, con incrementi tra il 30 e il 40%. La Spagna, con il suo +10,3%, è solo poco avanti a noi. Quello spagnolo è un caso interessante, perché nello stesso arco di tempo 1990-2021 il Pil iberico è aumentato di quasi il 70%, mostrando dunque una crescita vigorosa che però ha coinvolto in misura minima gli stipendi. Mentre il nostro Paese può con buona ragione collegare la scarsa performance delle retribuzioni a quella assolutamente non brillante dell’economia, che negli ultimi 31 anni ha avuto un incremento reale cumulato di appena il 19%: ai lavoratori è andata male, ma in un contesto generale poco allegro. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA