La manovra economica, senza un nuovo patto di stabilità c’è il ritorno dell’austerity

In Europa si tratta sui nuovi vincoli di bilancio che però potrebbero scattare solo nel 2025. I timori di una stretta sul prossimo anno

La manovra economica, senza un nuovo patto di stabilità c’è il ritorno dell’austerity
di Andrea Bassi
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Mercoledì 6 Settembre 2023, 11:09 - Ultimo aggiornamento: 7 Settembre, 06:00

La fotografia è entrata nella storia. È la sera del 28 settembre del 2018.

A Palazzo Chigi è in corso il consiglio dei ministri. A un certo punto la finestra del balconcino che affaccia su Piazza Colonna si apre. La delegazione del Movimento Cinque Stelle esce festante guidata da Luigi Di Maio che annuncia la prima «manovra del popolo». E pronuncia la ormai celebre frase: «Abbiamo abolito la povertà». Cosa è successo forse non tutti lo ricordano. È La prima manovra del governo giallo-verde, quello di M5S e Lega. C’è da approvare la Nadef, la Nota che deve aggiornare le stime su deficit e debito. Per settimane il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha provato a tenere il punto per rassicurare Europa e mercati: oltre l’1,6% di indebitamento non si può andare. «Non sarò io», fa trapelare Tria, «quello che sballerà i conti del Paese». Ma nel consiglio dei ministri sotto i colpi dei Cinque Stelle e della Lega tutti gli argini cadono. Nella Nadef il deficit viene portato al 2,4% per finanziare il Reddito di cittadinanza e l’abolizione della Fornero. Ma c’è un altro argine che tiene più di quello di Tria. È quello dell’Europa. Bruxelles riconduce a più miti consigli il governo italiano e, così, il 2,4% di deficit si trasforma in un 2,04%.

LE REGOLE

 Vale la pena ricordare questo episodio perché da allora, di acqua sotto i ponti ne è passata. Gli scontri con l’Europa per ottenere uno zero virgola in più di deficit per finanziare le manovre autunnali dei governi, sono ricordi relegati in un vecchio album. Dal 2020, dall’anno della pandemia, tutte le regole europee sono saltate. Sono in pratica quattro anni che il Patto di Stabilità e crescita è sospeso. Da quasi un lustro l’Italia, così come tutte gli altri Paesi del Vecchio continente, non ha avuto vincoli di spesa. Per poter affrontare prima la pandemia, e poi la crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina, ha potuto usare la leva del deficit a piene mani. Forse persino troppo, come dimostra la spesa fuori controllo di una misura come il Superbonus.

La spesa corrente complessiva è aumentata in questo periodo di oltre 100 miliardi di euro, infrangendo il muro dei mille miliardi complessivi. Dopo anni di liberi tutti, il brusco risveglio. Dal prossimo anno le regole del Patto di Stabilità torneranno in vigore. Il 2024 rischia di essere un anno di «austerity». Da mesi la Commissione europea è impegnata in una riforma del Patto che lo renda più flessibile. O più intelligente, se si vuole. La proposta è di proporre a ogni Stato un sentiero per la spesa pubblica netta aggregata che sia compatibile con un deficit inferiore al 3 per cento e un debito in discesa. Ma saranno gli Stati a predisporre i piani di bilancio per stare nel sentiero indicato dalla Commissione. Funzionerebbe un po’ come funziona con il Pnrr, una sorta di dialogo costante tra Commissione e Stato membro. Se lo Stato non rispetta quello che lui stesso ha promesso, scatterebbero delle sanzioni. Su questo progetto, come sempre, si sono creati i due consueti schieramenti: falchi e colombe. I falchi del Nord, guidati dalla Germania, vorrebbero comunque un impegno automatico a ridurre il debito dell’1% l’anno per chi sfora il limite del 3% del deficit o del 60% dell’indebitamento (il compromesso per ora sarebbe la riduzione dello 0,5%). Le colombe, come l’Italia, vorrebbero che dal calcolo del deficit non fossero considerati gli investimenti per gli obiettivi europei: green, digitale e difesa. Ma, a prescindere da come finirà, il punto è anche un altro. È altamente probabile che il nuovo Patto non entri in vigore prima del 2025. Cosa accadrà allora con la manovra per il 2024, la prima vera legge di Bilancio del governo Meloni?

IL FILO

 La scena a cui si sta assistendo in questi giorni assomiglia un po’ a quella vissuta con il primo governo Conte. Il deficit fissato per il prossimo anno nel Def è del 3,7%. Una parte del governo spinge per alzare l’asticella per trovare con l’indebitamento le risorse della manovra, magari convincendo l’Europa a sospendere il Patto per un altro anno. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti resiste, consapevole che non è un obiettivo alla portata, soprattutto se viene proposto da un Paese indebitato come l’Italia. Anche perché, in realtà, l’Europa i compiti a casa per il 2024 all’Italia, come a tutti i Paesi del Vecchio continente, li ha già assegnati. A maggio ha inviato le linee guida da rispettare nello scrivere le leggi di Bilancio in attesa della riforma del Patto. E la ricetta per l’Italia rischia di essere amara. Al Tesoro è stato chiesto di contenere l’aumento della spesa pubblica al massimo all’1,3% e di mettere fine a tutti gli aiuti per le bollette a famiglie e imprese. Più che un sentiero stretto, una traversata su un filo. 

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